Il film di Simone Godano si incarica di trattare in forma di commedia il delicato tema del coming out, per giunta in età matura. Omosessualità maschile, mediaticamente (e cinematograficamente parlando) meno "facile" e sdoganata di quella femminile. Dunque abbiamo Fabrizio Bentivoglio, ultra sessantenne, e Alessandro Gassmann, quasi sessantenne, i quali in un momento emotivamente delicato delle rispettive vite scoprono di avere una intesa profonda e addirittura intendono convolare a nozze, ognuno per tirare una linea in calce alle rispettive esistenze, accasatesi in quella fase in cui si fanno bilanci, con più passato alle spalle che futuro davanti. Fin qui tutto bene, anche la coppia d'attori è di livello ed è lecito aspettarsi (persino) un buon film riguardante un argomento che è sempre d'uopo percorrere in lungo e largo, per favorire quanto più dibattito e consapevolezza possibili tra il pubblico, che poi è la famosa "società". Godano però si colloca in una strada di confine che da un lato mira alto, in direzione di una certa raffinatezza e sottigliezza stilistica (in particolar modo nei dialoghi, perlomeno alcuni dialoghi), dall'altra cede (consapevolmente o meno) a registri più faciloni, da commedia manichea e lineare, di quelle che in realtà non vogliono complicarsi troppo la vita, né complicarla allo spettatore. Dalla bocca del personaggio di Gassmann escono non di rado buone linee di dialogo, ficcanti, molto a fuoco (fin troppo, dato il contesto), affatto banali, come sottolinea anche Anna Galiena durante un alterco tra i due. E questo nonostante la caratterizzazione fortemente popolare del romanaccio verace interpretato da Gassmann, un tipo sgarrupato, tanto nell'aspetto quanto nella parlata, l'aria sulle prime un po' tonta, un'estrazione sociale borgatara, un figlio dal look atroce (con i capelli tinti biondo platino su barba scura, pronto per uno di quei programmi Mediaset nei quali la conduttrice viene chiamata solo per nome).
Agli antipodi c'è Bentivoglio (e relativi parenti), elegante, aristocratico, modi ampollosi, circondato da una famiglia capricciosa, stravagante e sui generis, apparentemente più aperta e meno conservatrice di quella rocciosa, de' core e vecchio stampo di Gassmann, ma ovviamente (proprio per questo, verrebbe da dire), dilaniata da malesseri e disagi con i quali uno psicanalista si pagherebbe le vacanze a Cortina. La polarizzazione insomma è fortissima, plastica, e viene posta immediatamente allo spettatore, sin dai primissimi fotogrammi del film. Non c'è solo il tema (che già sarebbe sembrato sufficientemente ingombrante di per sé) dell'omosessualità, declinata per altro in età avanzata e con rispettive famiglie alle spalle; il tutto è ulteriormente elevato a potenza da contrapposizioni sociali e di censo. Godano insomma decide di portare tutto a livello 10, come si fa con i volumi del mixer ai concerti di rock duro. Bianco e nero, questo contro quello, amore etero contro omo, ricchi contro poveri, borgata contro villone al mare, valori tradizionali (di destra?) contro aperture progressiste (di sinistra?), come se l'amore gay tra i due protagonisti non avesse avuto già il peso specifico necessario a creare bivi e dicotomie sui quali applicarsi e riflettere. La "diversità" deve essere squadernata facile facile allo spettatore, il quale deve proprio capire come si schierano gli eserciti sul campo di battaglia. In questo contesto, la notevole focalizzazione del personaggio di Gassmann, sempre estremamente lucido, centrato, capace di leggere perfettamente la situazione e riportarla con chiarezza a se stesso ed agli altri (che invece sono sempre in confusione) diventa una forzatura stonata. Dato il modello di riferimento, è curioso che se ne esca fuori immancabilmente con considerazioni sociologiche di acume sopraffino. Bentivoglio dà vita ad uno stordito eccentrico e comicarello, ininterrottamente stralunato, incosciente del mondo che lo circonda (ma da 1 a 10... 10), con atteggiamenti marcatamente effeminati, contrapposti a quelli del rude e virile Gassmann, il quale "nonostante" l'intesa con Bentivoglio, non pare gradire un certo teatrino.
Le rispettive famiglie sono caratterizzate con lo stesso macete dei protagonisti, squinternati e svaniti quelli di Bentivoglio (la Galiena è ai limiti del cartone animato), coatti da stadio - curva ultrà della Lazio - quelli di Gassmann. Il film poi ricorre a stereotipi tassativamente inalienabili da una qualsiasi commedia italiana contemporanea. C'è la scena "tutti a tavola", quella con la canzone strappacore ("Marlena" dei Maneskin) nella quale la musica incornicia i vari personaggi intenti in profonde riflessioni e (ri)considerazioni globali, che porteranno inevitabilmente allo scioglimento (positivo) di tutti i nodi; ma forse la peggiore di tutte è il ballo di Gassmann e Bentivoglio, che scatena un rituale collettivo di tutti i presenti, coinvolti irresistibilmente nella danza come mezzo per affermare la supremazia dei sentimenti sulla ragione. Tutti stratagemmi e trappole emotive per edulcorare ed abbassare il livello, quasi si dovesse trasformare il film (con il suo argomento portante) in un cavallo di Troia. Insomma, Croce E Delizia alla fine è soprattutto croce, descrive in modo sin troppo netto e settario "questi" e "quelli", dotati di casacche che devono essere perfettamente riconoscibili ad ogni inquadratura, si abbandona a qualche sdolcinatezza di troppo, non fa molto per distinguersi dalla media delle pellicole concorrenti ed esagera vistosamente nel tratteggio dei due protagonisti. Gassmann praticamente è un essere umano perfetto, Bentivoglio una macchietta, Scicchitano un coatto tutto definito e ricompreso unicamente da quell'etichetta, Jasmine Trinca un compendio vivente di psicopaturnie.... e però, come attrice, è la migliore di tutti.