Così Parlò Bellavista

Così Parlò Bellavista
Così Parlò Bellavista

Luciano De Crescenzo scrive Così Parlò Bellavista nel 1977 e nel 1984 quel testo diventa anche la sua prima regia cinematografica (una di quattro in totale tra l'84 ed il '95), come attore invece comparirà complessivamente in una dozzina di pellicole. Alla sceneggiatura collabora Riccardo Pazzaglia e alla fotografia c'è Dante Spinotti. La regia è un tasto dolente del film poiché è sostanzialmente il difetto principale che viene imputato a Bellavista, ovvero quello di essere un gradevolissimo poutpourri di sketch e gag appiccicate tra di loro con il nastro adesivo. Fondamentalmente come definizione potrebbe anche andare, tecnicamente corrisponde a verità, ma nonostante ciò Bellavista sta tranquillamente in piedi e questa "assenza" di regia non pesa in alcun modo, anche perché la finalità del film non è quella di progredire da un punto A ad un punto B ma di fare uno schizzo d'insieme sulla napoletanità, dunque una sorta di eterno presente esploso contemporaneamente in mille rivoli, anziché un progredire cronologico che fa necessariamente maturare fatti e accadimenti producendo conseguenze. Così Parlò Bellavista è forse il film più indicato in assoluto se si vuole capire la città di Napoli, il suo spirito, la sua essenza più genuina, autentica e profonda. Attraverso la sua galleria di figurine De Crescenzo illustra l'eterna arte di arrangiarsi, l'intraprendenza caparbia, tenace ed incessante, la creatività e anche un po' la sfacciataggine di chi ogni giorno deve barcamenarsi per arrivare a sera al meglio delle proprie possibilità. Ogni situazione è l'humus per una categoria professionale inventata di sana pianta dai disoccupati napoletani, pronti a consacrarsi aiuto portieri, aiuto dell'aiuto portieri, dispensatori di numeri del lotto, venditori di beni di prima necessità per le coppiette che intendono appartarsi in camporella, camorristi col secondo lavoro, testimoni per processi, consulenti artistici per foto tessera, venditori di apparati funebri d'occasione e chi più ne ha più ne metta.

In questa simpatica bolgia dantesca, sorridente e spensierata, si agitano tanti uomini semplici, apparentemente intangibili dalle paturnie del vivere quotidiano, periodicamente chiamati a raccolta dal Maestro di vita Bellavista, un professore di filosofia che spiega loro il senso della vita e come vada letta la complessità della realtà che li circonda, riducendola ai minimi termini. Il professore che ogni studente avrebbe voluto a scuola. Addirittura Bellavista affronta vis a vis la Camorra (in quella che è una vera e propria scenetta morale), ponendo ai "malamente" domande dirette e primarie e, pare quasi di capire, inducendoli ad una riflessione autocritica. C'è del superomismo in Bellavista/De Crescenzo (e non potrebbe essere altrimenti vista la derivazione del titolo da Nietzsche) ma è bonario e a buon mercato, dunque enormemente pervasivo nell'epidermide dello spettatore. Si ride molto, le scenette sono ben orchestrate, la pletora di caratteristi è di prim'ordine, il miglior teatro partenopeo dispiegato davanti ai nostri occhi. Fa da contraltare il meneghino Cazzaniga (Renato Scarpa), unico degno "antagonista" di Bellavista. Irresistibile il poeta Luigino (Gerardo Scala), sempre pronto a componimenti poetici all'impronta, un vero e proprio situazionista, che lascia sempre esterrefatti i suoi compagni di viaggio. C'è una tenue contrapposizione nord/sud, che più che geografica è filosofica ed esistenziale, e potrebbe tranquillamente tradursi in "stoicismo" vs "epicureismo" o nel confronto degli uomini "d'amore" contro gli uomini "di libertà" (come De Crescenzo stesso definisce i due schieramenti), poco più che un pretesto per pennellare il mondo alla maniera del protagonista sornione del film, nulla che non si possa ammansire ad una tavolata con del buon cibo e del buon vino, sembra suggerirci l'autore. Visto il buon successo di pubblico un anno dopo arriverà il seguito, Il Mistero Di Bellavista, leggermente inferiore al primo capitolo.

Trailer ufficiale

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