Pellicola action comedy che, se non fosse esistito Tarantino, non avrebbe mai visto la luce. Concrete Blondes (Bionde All'Attacco da noi) è del 2013 a firma Nicholas Kalikow (regista e co-sceneggiatore); mette assieme molta carne al fuoco per un risultato invero modesto, anche se qualche elemento interessante comunque lo si può trovare. La storia è quella di tre ragazze, coinquiline sempre in lotta per pagare l'affitto a fine mese. Due di queste una sera, mentre vanno ad un rave party, inforcano per strada un palazzaccio dimenticato da Dio in un quartieraccio altrettanto deserto. Dentro è in atto un vero e proprio regolamento di conti, due gang si massacrano a colpi di arma da fuoco e le ragazze sono testimoni della carneficina. Alla fine, tra ettolitri di sangue e bossoli esplosi, rimane a terra un borsone pieno zeppo di banconote canadesi, l'equivalente di 3 milioni di dollari americani. Le ragazze portano a casa il malloppo e da quel momento iniziano a difendere l'inaspettato tesoretto. La più saggia delle tre però, Kris (Carly Pope), non ha fatto i conti con l'insubordinazione e l'inaffidabilità delle altre due, che non tengono la bocca chiusa e progettano piani paralleli per impiegare i soldi, tanto che le ragazze diventano il bersaglio numero uno di un boss che gestisce un ristorante greco e che vuole accaparrarsi il denaro.
Fin dai primi minuti appare chiaro quanto Kalikow non punti affatto sulla verosimiglianza della storia, quanto semmai sulla fighetteria dei personaggi, sia da un punto di vista estetico, che da un punto di vista prettamente narrativo e cinematografico, esattamente alla maniera di Tarantino. Tutti sono molto caratterizzati, con l'asticella che punta visibilmente sul grottesco e sul caricaturale. Le tre ragazze sono composte da due lesbiche ed una etero. La etero, Sammi (Diora Baird), è una tettona da Playboy, bionda, oca e un po' ninfomane, le due lesbiche sono complementari, mora, rigorosa e molto logica Kris, con naturali propensioni da leader, squinternata, col ciuffo rosa e un po' grunge Tara (Samaire Armstrong). I dialoghi tra di loro sono sempre all'insegna dello squittìo e delle mossette da Spice Girls. Stereotipi e cliché pseudo alternativi regnano incontrastati. Poi c'è Karl (Brian Smith), boyfriend di Sammi, bello grosso e pure lui bello ottuso, il quale intende altrettanto mettere le mani sul gruzzolo. Quindi abbiamo il sig. Kostas Jakobatos (John Rhys-Davies) ed i suoi scagnozzi, criminalità di medio livello con la faccia ed il look da criminalità di medio livello. C'è un lieve accenno di satira inter-etnica, quando si fa riferimento al fatto che non esiste in inglese un nomignolo dispregiativo per indicare il popolo greco, quando invece ne esistono a bizzeffe per gli italiani e per quasi tutti gli altri popoli.
Il punto è che i personaggi sono deboli e poco credibili, i siparietti comici - ai limiti del demenziale - non fanno ridere, né il fattore "blonde" ha molto peso in realtà (a dispetto di una locandina badass alla Bitch Slap), poiché Diora Baird sarebbe anche sexy, ma è troppo stupida ed antipatica; Samaire Armostrong è una freakkettona che può andar bene solo per chi ascolta i Foo Fighters dalla mattina alla sera (anche se la ragazza nel film cita George Micheal e i Judas Priest come ascolti da fare durante il sesso), e Carly Pope, che alla fine è la più discreta delle tre, semplicemente non è bionda. Tutte le situazioni sono roba da criminali da strapazzo, pura carta copiativa tarantiniana fatta però senza l'estro, senza l'anima, senza il genio dell'originale, e per di più con una confezione anonima, che rende il film praticamente un prodotto da tv via cavo. Regia, scenografie e musiche sono piuttosto sciatte; l'unico elemento interessante, ma che è mal giocato, è il tentativo di rendere più dinamico ed accattivante il montaggio, poiché sostanzialmente ogni volta che accade qualcosa l'orologio torna indietro e rivediamo come si è arrivati a quella situazione partendo però da un punto di vista diverso dal precedente, quindi è come fare ogni volta un passo in avanti e due indietro. La maggior parte dei dialoghi lasciano il tempo che trovano e la quasi totalità delle azioni intraprese dai protagonisti sono troppo sciocche per far sì che lo spettatore possa identificarsi con i personaggi.