Colors lo vidi all'epoca al cinema, fresco fresco dei miei 14 anni che mi consentivano di entrare a testa alta in sala, nonostante il divieto. Rimasi impressionato, per quanto la realtà delle gang di strada non appartenesse al mio contesto italiano, film e telefilm americani mi avevano ampiamente abituato alle strade di Los Angeles (come di San Francisco, del Bronx newyorkese, di Detroit, Chicago, etc). Dennis Hopper gira un magnifico film affatto facile, basti citare il fatto che nel 1990 molti ragazzi affiliati alle vere bande dei Creeps e dei Bloods presenti nel film, deportati nel Belize, scatenarono un'ondata di violenza ispirandosi al film (che si erano portati in vhs nel paese caraibico). Hopper gioca col fuoco perché ritrae la vera Los Angeles affogata nel sangue, nella droga e nelle mitragliette uzi delle band di strada, tant'è che la pellicola ha un taglio a metà tra la finzione narrativa ed il documentario. Riti di affiliazione (il ragazzino pestato a sangue per farlo entrare tra i guerrieri adulti capitanati dal cugino), l'omertà, la misoginia, il cameratismo, la violenza come unico mezzo di comunicazione ed affermazione del proprio io, la totale idiosincrasia verso le regole, l'autorità ed il viver civile, Colors mette in scena tutto questo in un contesto di degrado ed abbandono, il lato oscuro della luna reaganiana fatta di benessere, edonismo e arrivismo yuppie. A Los Angeles si lotta per il barrio (il quartiere), per l'egemonia di un metro di strada, di palazzi fatiscenti, di macchine sgangherate e delle chicas il cui unico scopo all'interno di una gang e soddisfare il testosterone dei maschi.
Bob Hodges (Robert Duvall) e Danny McGavin (Sean Penn) sono due poliziotti della squadra C.R.A.S.H., un plotoncino di agenti espressamente dedicati alla repressione del fenomeno delle gang di L.A., ma mentre Bob è un rodato agente paziente e di buon senso oramai prossimo alla pensione, Danny è un ragazzotto pieno di virilità ed intriso della stessa violenza delle gang, solo che milita dalla parte dei "buoni". Tra i due il rapporto è complicato, amore e odio, e quel che è peggio nel mezzo ci sono morti, omicidi e sangue e fiumi. Hopper alterna intelligentemente i due piani, inframezzando le strade della metropoli con le dinamiche psicologiche degli agenti. E' una rogna bestiale fare il poliziotto a Los Angeles, la cittadinanza è delusa e ostile, non di rado favoreggia la criminalità, le divise col distintivo si muovono nei dedali urbani come vittime sacrificali nella giungla, ospiti indesiderati, alieni; anche se quando ne hanno l'occasione sanno prodursi in atti di arroganza e sopraffazione esasperata speculari a quelli dei gangster a cui danno la caccia. La spirale di violenza sembra destinata a perpetrarsi per sempre, inesorabilmente incapace di arrestarsi. La prima sceneggiatura aveva previsto un'ambientazione diversa, a Detroit, per via della circolazione droga, ma Hopper insistette per la centralità del ruolo delle band, come si dovesse trattare di un aggiornamento de I Guerrieri Della Notte in chiave estremamente più nichilista e criminale, totalmente privato dell'aspetto più poetico, romantico e persino fantasy del film di Walter Hill. Ovviamente veri appartenenti alle gang finirono sotto contratto con la produzione per assicurare il cordone di sicurezza necessario a permettere di girare il film nelle "loro" strade.
Colors mette un bel disagio addosso, Penn è uno str...o magistrale e non è difficile pensare quanto all'epoca il personaggio dovesse assomigliargli (durante la lavorazione si fece 33 giorni di cella per aver cazzottato sul set un fotografo a suo dire non autorizzato); Duvall dà qui una prima versione leggermente più adrenalinica e psicotica del poliziotto che inseguirà D-Fens/Michael Douglas in Un Giorno Di Ordinaria Follia (1993) di Joel Schumacher. Maria Conchita Alonso è bellissima ed esprime al meglio la dicotomia sofferente tra senso di appartenenza alle radici e anelito di riscatto, così come in generale tutti gli appartenenti alle band, tra i quali spicca Leo "rospo" Lopez (Trinidad Silva), piccolo boss dei Creeps. Colonna sonora di fuoco a tutto rap (nonostante le parti strettamente musicali più in stile "americana" siano state curate da Herbie Hancock) che fomenta da morire lo spettatore durante la visione. Naturalmente il film è pieno di stereotipi, dal linguaggio al ghetto style, dal fallocentrismo tanto dei poliziotti bianchi che dei teppisti neri alle femmine che quando vengono "sc....e" (perché il concetto di fare l'amore non esiste in quella cornice) gemono urlando ininterrottamente come in un film porno di quarta categoria; ma va anche detto che la realtà ritratta nel film si sovrappone perfettamente alla realtà reale, intrisa di stereotipi, ovvero esattamente le catene che impedivano a quei ragazzi di liberarsi e spiccare il volo.