Sono diversi i film su Aldo Moro realizzati negli ultimi decenni, inevitabile che il cinema italiano si cimentasse con uno dei fatti politici più significativi dello scorso secolo, ancorché tragico. Giuseppe Ferrara, con Il Caso Moro (1986), Renzo Martinelli con Piazza Delle Cinque Lune (2003), Marco Bellocchio che ci è tornato sopra addirittura due volte, con Buongiorno, Notte nel 2003 e con Esterno Notte quest'anno, Elio Petri che pur non occupandosi del sequestro sembra prefigurarlo in Todo Modo (uscito due anni prima dei fatti di via Fani), e persino John Frankenheimer con L'Anno Del Terrore (1991). Tra questi, Buongiorno, Notte è abbastanza impressionante e rimane tale non solo a distanza di mezze secolo dal rapimento, ma anche a distanza di 20 anni dalla realizzazione del film, segno evidente che dentro quei fotogrammi c'è qualcosa di estremamente intenso e potente che non si annacqua con il fluire della sabbia nella grande clessidra di Cronos. L'incipit è immediatamente immersivo, due dei brigatisti che costituiranno poi il gruppo che fattivamente rapì e gestì la prigionia di Aldo Moro si fingono marito e moglie ed affittano l'appartamento (di via Camillo Montalcini n. 8) dove sostanzialmente è ambientato tutto il film. Nulla vediamo della mattina del rapimento, siamo già alla traduzione dell'ex cinque volte Presidente del Consiglio nel covo dei terroristi. Qui viene confinato in una anfratto della casa ricavato dai suoi carcerieri, rifocillato e interrogato quotidianamente, nonché sottoposto a grandi dichiarazioni politiche, più simili a farneticazioni paranoiche che a manifesti culturali e filosofici. Moro, come è noto, scrive lettere, rivolgendosi ai familiari, ai compagni di partito, persino al papa, cercando sponda perché si arrivasse ad una risoluzione del conflitto che non prevedesse la propria morte. I libri di storia hanno messo a verbale che non fu così, l'autonominatosi "tribunale proletario" sentenziò la morte del politico, come "il più alto atto di umanità possibile in una società divisa in classi" (lo dice nel film Lo Cascio ma è una citazione letterale estratta da un comunicato delle BR letto il 10 maggio nell'aula di tribunale alla caserma La Marmora di Torino, da Renato Curcio e Alberto Franceschini, fondatori del gruppo armato).
Bellocchio sta sul pezzo, è tutto rivolto alla cronaca spicciola dentro la casa, i fatti quotidiani, gli sguardi, le frasi, i primi piani. I quattro terroristi sono variegati, Mariano (Luigi Lo Cascio) è il capo, il più cinico ed impietoso, Primo (Giovanni Calcagno) è incolore, un mero esecutore che non si sofferma neppure un attimo a riflettere su cosa sta facendo, Ernesto (Pier Giorgio Bellocchio, figlio di Marco) e Chiara (Maya Sansa) sono gli unici due che con il progredire dei giorni maturano dubbi ed incertezze, perlomeno sull'esito finale, che pare scontato da subito. Chiara (a suo modo modellata sulle figure di Anna Laura Braghetti, carceriera di Moro, e Enza Faranda, brigatista che si dissociò) è un personaggio sottile e complesso. Non solo ha una sensibilità diversa (femminile) ma, stimolata da un collega di lavoro (Paolo Briguglia), sente affiorare in sé un bisogno di evasione, di verità, di immaginazione, che progressivamente la porta se non a pentirsi, a rimettere in discussione tutto. Al punto tale da provare (o sognare?) di liberare Moro a scapito dei compagni. Sono molte le scene emblematiche in tal senso, praticamente ogni volta che Chiara si distende su un letto per dormire o il finale del film, bellissimo, un autentico canto lirico da parte di Bellocchio, magnificamente intonato da Roberto Herlitzka che interpreta Moro (ulteriormente supportato niente meno che dalle musiche dei Pink Floyd). Bellocchio non umanizza neanche per un attimo i brigatisti, anzi ne esalta la totale ottusità, lo scollamento dalla realtà, l'incapacità di leggere i dati di fatto e ciò che le loro azioni empiricamente producono, le contraddizioni (a tavola prima di mangiare si fanno il segno della croce). La stessa Chiara, che potremmo dire la migliore dei quattro (Ernesto non vorrebbe ma non ha il coraggio di rifiutarsi), è stravolta da ciò che accade e da ciò che prova ma è comunque una ragazza di 23 anni che è arrivata a tuffarsi mani e piedi in un'avventura così disumana, ed il suo disagio nasce "semplicemente" dallo scontro (insanabile) tra la sua natura e ciò che il condizionamento culturale le ha imposto.
Fenomenale la prova di tutto il cast, Lo Cascio deve aver sudato non poco per rendere detestabile il suo personaggio, davvero spregevole (perché affatto stupido ma meschinamente votato alla rivoluzione nel sangue). Roberto Herlitzka, di contro, trasmette una immensa umanità (che poi è la cifra propria di Herlitzka). Bellocchio sa come rendere estremamente coinvolgente, appassionante, eppure duro e terribile un film del quale sappiamo già tutto ancor prima di iniziare a vederlo. Non c'è enfasi, non c'è retorica, non c'è militanza, non ci sono neppure noia e ruffianeria, Buongiorno, Notte è puro cinema di impegno ma anche di narrazione e creazione; in sostanza, è arte in forma di celluloide. Attraverso l'appartamento noi conosciamo il mondo esterno e l'Italia, la sua società, i suoi demoni, la sua classe politica, le sue pochezze ed i suoi ideali. Il giovane Enzo sembra il futuro positivo, la speranza di un paese incamminato verso il disastro, ma viene portato via dalla Polizia perché creduto un brigatista, mentre la vera brigatista Chiara assiste alla propria salvezza durante la retata alla biblioteca del Ministero, dove i due lavorano. I piani della realtà si confondono, innocenza e colpevolezza si scambiano i ruoli lasciando presagire un punto di vista feroce e nichilista sulle nostre "magnifiche sorti progressive". Così come non assistiamo al sequestro, non assistiamo neanche all'uccisione ed al ritrovamento del cadavere di Moro. Ci pensano i Pink Floyd a congedarci dall'incubo ed in quale maniera, per quanto paradossale, Bellocchio riesce a lasciarci con un barlume di serenità nel cuore.