Blade Runner 2049

Blade Runner 2049
Blade Runner 2049

Un sequel di Blade Runner è una di quelle idee balsane di cui aver paura sin dal primo momento. Detto e stradetto, com'è anche solo concepibile immaginare dei sequel (o dei remake) di creature perfette, che costituiscono uno spartiacque del cinema, che separano la sua storia tra "prima di" e "dopo di"? Fa piacere ogni tanto scoprirsi vecchi tromboni e dover prendere atto che le proprie rigidità vengono smentite. Mi è accaduto con Blade Runner 2049, eccellente seguito del capolavoro di Ridley Scott, pellicola che non solo non "violenta" il suo predecessore, ma che anzi, lo onora, lo nobilita e si pone virtuosamente in scia. Blade Runner 2049 è degno di Blade Runner 1982, e gà come premessa mi pare superlativa.

Consideriamo che poteva toccarci Christopher Nolan come regista, non so se ci rendiamo conto di quale atrocità pestilenziale abbiamo evitato. Deo gratia per aver affidato le redini del progetto a Denis Villeneuve. Ciò che mi ha sconvolto positivamente dei 163 minuti di 2049 è la rispettosa osservanza della grammatica e del linguaggio del primo Blade Runner (al punto che l'arrivo di Gosling a casa di Bautista è esattamente la scena con la quale sarebbe dovuto iniziare l'altro film). Diverso regista, diverso cast tecnico/artistico, 35 anni di acqua passata sotto i ponti, eppure 2049 pare effettivamente la diretta emanazione di Blade Runner, la filiazione geneticamente più conforme, filologica ed adeguata di quei fotogrammi iconici, eterni, immortali. Villeneuve non tira la corda, non va per estremi, non gioca a far finta di accomodarsi in quelle vesti per poi titaneggiare con la propria calligrafia indelebile, Villeneuve ripercorre diligentemente la strada tracciata, senza snaturare, ma conformandosi e limitando il proprio ego autoriale, mettendosi insomma al servizio del film e non viceversa.

Visivamente il lavoro è immenso, il grigio domina ovunque, fatte salve le imprescindibili insegne al neon della Los Angeles distopica, i fari delle macchine volanti e la breve parentesi al laboratorio di Ana Stelline, la creatrice di ricordi per androidi. Il senso di oppressione, vertigine, angoscia è ancora più potente ed amplificato rispetto al 1982, anche perché più corriamo nel futuro più sentiamo che quello con molta probabilità sarà effettivamente il nostro futuro. Altrettanto fantasmagoriche sono le musiche (a cura del terzetto Jóhann Jóhannsson, Hans Zimmer, Benjamin Wallfisch). Certo, si tratta di un assist davanti alla porta, ovvero stavolta si è potuto contare sulle atmosfere derivanti dalle musiche (già sentite) di Vangelis e dalle immagini (già viste) di Ridley Scott, Vangelis creò il suo mondo sonoro erigendolo dal niente; tuttavia credo che qualsiasi compositore si sarebbe spaventato avvertendo sulle proprie spalle l'onere di bissare la grandezza del commento sonoro del sequel di Blade Runner, che è stato ed è "Blade Runner" anche per le musiche indimenticabili di Vangelis. Inizialmente lo score venne affidato al rapper EL-p ma il suo lavoro venne cestinato; anche qui, grazie alla mente illuminata, chiunque essa sia stata, che ha corretto il tiro in corsa.

Ryan Gosling è perfetto per il suo ruolo. Non sono ancora convinto che Ryan Gosling sia un grande attore. Le due affermazioni potrebbero sembrare in netta contraddizione ma, credetemi, non lo sono. Per ora Gosling concettualmente mi ricorda moltissimo Clint Eastwood, del quale si diceva la storiella delle due espressioni (...citofonare Sergio Leone). Ecco, Gosling è di una fissità imbarazzante, di una inespressività colossale, ma (ed è un "ma" grande quanto una cattedrale di Los Angeles del 2049....) in Blade Runner 2049 ci voleva la sua faccia. Perché con quella il senso di straniamento è ulteriormente potenziato e perché Gosling è un androide, il quale - per quanto oramai talmente perfezionato da risultare pressoché indistinguibile da un umano - tale deve rimanere per lo spettatore, artificiale, alieno, privo (forse) di anima.

Quando vedo il nome di Jared Leto in cartellone mi preoccupo sempre un po'; un altro attore di uguale carisma (se non superiore, se ne trovano, fidatevi) non avrebbe sfigurato ed avrebbe regalato una scintilla in più al ruolo ed al film, ma ad Hollywood sono tutti innamorati di Leto attualmente, c'è poco da fare. Che poi quell'attore in effetti c'era, si chiamava David Bowie, ma è stato "ritirato" prima del tempo. Qualche movenza un po' troppo Marvel di Sylvia Hoeks l'avrei risparmiata (si veda la lotta con Gosling), ma temo che da quello standard di action non si possa prescindere, nemmeno se ti chiami Villeneuve e stai girando il sequel di un'icona religiosa al pari della Sacra Sindone. Così come un paio di scene avrei preferito non vederle (- SPOILER: mi riferisco allo spiegone ad uso dello spettatore di Gosling alla sua amante digitale Ana De Armas, mentre cerca i codici combacianti di Dna, nonché al finale nel quale Harrison Ford incontra Carla Juri, il prefinale con Gosling adagiato sulla neve è estremamente più poetico, presagisce già quanto sta per accadere ed esplicitarlo con immagini toglie un po' di magia, è pleonastico).

Si è letto di tutto ed il contrario di tutto su questo film, ha un po' diviso le platee, chi lo ha detestato (magari anche solo per l'ardire di rifarsi all'originale), chi lo ha amato, sciogliendosi in un brodo di giuggiole per il regalo ricevuto di poter tornare nuovamente ad immergersi in quelle atmosfere così disturbanti, apocalittiche, noir e spirituali. Esattamente come nel 1982, anche oggi vengono poste molte domande esistenziali, né viene sciolto - oggi come allora - il nodo problematico che riguarda la natura di Deckard (in realtà la spiegazione logica può essere soltanto una, ma si cerca il più possibile di dissimularla, rimandarla, accantonarla).

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