In mezzo a due pezzi da novanta della sua filmografia come Paura Nella Città Dei Morti Viventi (1980) e L'Aldilà (1981), Lucio Fulci dirige la sua versione del gatto nero, praticamente uno standard tratto dal racconto di Edgar Allan Poe e che diversi spunti ha fornito al cinema horror da Dario Argento a George A. Romero. La pellicola si differenzia da altre fulciane, come ad esempio la coppia appena menzionata, per un minor ricorso ad effetti splatter gore, meno trucidità, ed una maggior attenzione alla ambientazioni, all'atmosfera ed all'aspetto narrativo, per quanto pur sempre "alla Fulci", quindi con una qualche predilezione per momenti ad effetto, qualche sconnessione logica e un generale clima onirico e visionario. Una bella spinta in tal senso la dà la scelta di Patrick Magee come protagonista, qui praticamente a fine carriera. Dopo averlo visto all'opera con Kubrick (in Arancia Meccanica e Barry Lyndon) ma anche con Poe in La Maschera Della Morte Rossa di Roger Corman (1964), Lovecraft in La Morte Dall'Occhio Di Cristallo di Daniel Haller (1965), De Sade in Il Teschio Maldetto di Freddie Francis (1965) e in Marat/Sade di Peter Brook (1966), Fulci sa perfettamente cosa avrà tra le mani ed infatti gli assegna un ruolo estremamente sinistro ed inquietante che Magee nobilita con la sua tipica mimica facciale, i suoi sguardi penetranti e la sua postura da vecchio diavolo. E' lui il padrone del gattaccio nero che compare in ogni delitto che si compie in una cittadina inglese apparentemente tranquilla e sonnacchiosa. A Scotland Yard brancolano nel buio e ci vorrà una fotografa un po' troppo curiosa come l'algida ed efebica Mimsy Farmer per venire a capo dell'arcano e spiegare tutti i terribili omicidi.
In diversi concordano sul fatto che Black Cat non sia il miglior Fulci, non esprima a pieno il suo potenziale e tra questi ci sono anche io. E' un film di grande mestiere ma in qualche modo privo di sussulti, porta a casa la pagnotta senza particolari guizzi o invenzioni. Le tanto decantate soggettive del gatto (a livello "steadycam", anche se l'artigiano Fulci certamente non ne disponeva), la prima morte (quella per incidente stradale), il brutto manichino della Lassander che prende fuoco, il gioco di rimandi tra gli occhi (fosforescenti?) della sua bambola di porcellana e le pupille feline, gli insistiti primissimi piani degli attori, la totale inespressività di Al Cliver (nei panni di un poliziotto), il ricorso al paranormale un tanto al kg, non sono frecce a favore di questo Black Cat. Su quale potrà essere il dipanarsi degli eventi c'è abbastanza prevedibilità fin da subito, il film non gioca tanto sull'aspetto giallo quanto sul come Mimsy Farmer arriverà a comprendere e concatenare tutti gli eventi. C'è un solido e fascinoso ispettore (David Warbeck) che purtroppo è poco più che carta da parati, c'è la bella Dagmar Lassander, pure lei con pochissime pose, e c'è quella piacevole aria gotica inglese che ha sempre il suo perché, scandita da veri e propri dungeon, cunicoli oscuri e cripte cimiteriali in grande abbondanza. Ma neppure le musiche di Pino Donaggio scaldano particolarmente il cuore e qualche morte è davvero demenziale (ad esempio quella di Bruno Corazzari). I cultori di Fulci, al corrente dello sviluppo di Sette Note In Nero del 1977, avranno certamente avvertito un'eco arrivati al finale di Black Cat.