
Terzo estratto dalla letteratura gialla di Agatha Christie da parte di Branagh, che ha trovato il suo personale franchise col quale si ha l'impressione che camperà a lungo. E' persino probabile che verrà ricordato più per Poirot che per le sue eccellenti trasposizioni shakespeariane; e pazienza, ce ne faremo una ragione noi altri cultori dell'irlandese sin dagli esordi col fiammeggiante Enrico V (1989). Poi va detto che la "rendering" dei romanzi della Christie è davvero eccellente, hollywoodiana quel tanto che basta a renderli ancora più appetibili ma senza mai ridicolizzarli trasformandoli in puro glamour effimero. Il tocco d'autore rimane e soprattutto conta la moderazione british, che preserva Branagh dal cafonismo americano. Assassinio A Venezia deriva da Poirot e la Strage degli Innocenti (Hallowe'en Party in originale), scritto nel '69 e ribattezzato con un titolo molto più immediato ed esotico per il pubblico cinefilo, dopo contesti altrettanto esotici come l'Orient Express ed il Nilo. Venezia spadroneggia nell'ora e tre quarti di pellicola, eppure a conti fatti se gli esterni sono autenticamente veneziani, gli interni (ovvero il lugubre e nobiliare palazzo dei bambini) altro non sono che i Pinewood Studios. Lo spettatore però non avverte questa finzione, tanto meno il salto logistico, e respira a pieni polmoni l'atmosfera lagunare del 1947. Il grosso della storia avviene al chiuso anche se Branagh dosa sapientemente in fase di montaggio il dentro ed il fuori, dando ritmo e dinamismo, ed evitando che chi osserva il dipanarsi degli eventi si senta come chiuso in un teatro.
Il taglio che Branagh dà al film è quasi horror, soprattutto nella prima mezzora, fino al primo omicidio diciamo così. Lui in realtà preferisce definire la pellicola un "thriller soprannaturale", il che obbiettivamente è preciso e puntuale, ma la cifra dei primi 30 minuti è assai contigua ad un horror e tra l'altro l'esperto Branagh dà prova di maneggiare egregiamente i codici del genere, mantenendo uno stile classico, elegante, signorile ed al contempo estremamente macabro ed inquietante. Mi ha molto colpito l'uso delle musiche, quasi ancillari alle immagini, si avvertono poco, ci sono ma svolgono una funzione di supporto discreto alle emozioni dello spettatore. Un ruolo di seconda linea che non tutti i compositori sarebbero stati disposti ad accettare. Del resto i silenzi sono essenziali nel film, in quei silenzi ci sono voci, eco, suoni e ombre che tanto i protagonisti della vicenda quanto gli spettatori devono cogliere ed interpretare. Al contempo Assassinio A Venezia è anche indubbiamente un esercizio di stile, vuoi perché siamo già al secondo sequel, vuoi perché è la rielaborazione di un classico letterario, vuoi perché Branagh all'altezza dei suoi 60 anni gioca col suo mestiere, il suo talento e la sua qualità registica ed interpretativa che gli consentono tuttavia di non scadere mai nel manierismo fine a se stesso. Il cast non si appoggia a star conclamate, eccezion fatta per Michelle Yeoah, fresca di Oscar, semmai ad uno stuolo di bei volti e talenti convincenti, come la splendida Kelly Reilly (per tipologia una scelta che mi ha ricordato quella di Caitríona Balfe in Belfast) o la magnetica Camille Cottin, il cui volto trasuda personalità. C'è pure Scamarcio a fare il ruolo stereotipato che solitamente si assegna all'attore italiano nei film americani (con buona pace di Favino).
Il film è un piccolo gioiello, pieno di atmosfera e suggestione, giocato sui millimetri per quanto riguarda i tempi e gli accadimenti. Se proprio devo trovare un difetto, dico l'uso un po' smodato di grandangoli nella prima metà della storia che a tratti è veramente onnipresente, ed anche quella ripresa in soggettiva di Poirot quando scende ad esplorare le cantine sotterranee del palazzo, che è un po' troppo insistita e fine a se stessa, ma si vede che a Branagh per qualche motivo piaceva. Magnifica invece la lunga sequenza finale sui titoli di coda che apre progressivamente davanti ai nostri occhi un incredibile panorama veneziano, peccato per quegli spettatori impazienti che si alzano non appena si accendono le luci in sala, si perderanno una delle cose migliori del film. Finché continuerà così il buon Kenneth avrà davanti a sé molti romanzi della Christie da mettere in scena col favore del pubblico.