Oltre 30 anni di onorata, sudata, faticosa carriera, praticamente nessun riconoscimento se non le chiacchiere, le attestazioni di rispetto di qualche collega, di uno zoccolo duro di fans (perlopiù europei e giapponesi), ma nulla che garantisse il tenore di vita di una rockstar, niente Jacuzzi, niente collezione di Lamborghini in garage, niente conigliette di Playboy siliconate ad aspettare sul letto ad acqua con lenzuola di seta rosa, niente targhe nel museo del Rock. Solo maledetta fede in un ideale impossibile e fanciullesco, una passione indomabile e del talento (chi dice tanto, chi dice poco). Il rockumentario inizia nel modo più crudo e amaro per la band (ma dotato di impagabile ironia), al Super Rock Festival in Giappone, nel 1984, le band europee che calcarono quel palco hanno poi venduto milioni di copie urbi et orbi. Tutte, tranne una: gli Anvil. Gli anni sono passati, Scorpions, Bon Jovi, Twisted Sisters hanno sfondato, Metallica, Slayer, Anthrax, Testament citano gli Anvil come una fonte di ispirazione imprescindibile, un esempio di integrità ed onestà, un punto di riferimento, tutto quello che volete, ma gli Anvil non sono mai arrivati. Ed ecco che abbiamo Lips (al secolo Steve Kudlow) che scarica cassette di banane e fa consegne col furgone in giro per il Canada innevato, dall'alto dei suoi 50 anni suonati. Non va meglio a Robb "Robo" Reiner, suo compagno inseparabile, col quale da teenager ha dato vita al sogno (poi rivelatosi anche un incubo). Ci sono le rispettive famiglie, mogli, sorelle, figli, che da anni tirano la carretta e prestano soldi (e magari neppure approvano), mentre Lips e Robo inseguono il successo, come due ragazzini. Ci sono 12 platter pubblicati, 3 dei quali assurti a "cult" tra gli addetti ai lavori, e c'è l'ennesimo punto di svolta di una carriera che forse non esiste.
Ma prima ripercorriamo le traversie di un demenziale tour europeo che una manager italiana, fan della band, organizza per gli Anvil. Un tour fatto di treni perduti, prenotazioni maldestre, locali semideserti, performance non retribuite e orari di esibizione umilianti. La solita infinita iniezione di amore e dedizione per la causa, ripagata con schiaffi in faccia e calci nel didietro. Tornati a casa, Lips e Robo riprendono la stanca routine quotidiana, fatta di delusioni, amarezze e realtà che taglierebbero le gambe a chiunque. Lips però è uno che non si dà mai per vinto. Manda il demo di un nuovo album (una cassetta!) a Chris Tsangarides, vecchio produttore della band e nome di spicco della scena. Chris, esattamente come gli Anvil, è invecchiato, imbolsito, corrugato e canuto, ma sente ancora l'odore della tigre affamata in quella cassetta. Gli Anvil e Tsangarides si incontrano, e stabiliscono che con 15 milla dollari il nuovo album sarà pronto. Racimolato il denaro (le ipoteche sulla casa di Lips non si contano), i nostri producono "This Is Thirteen", il platter con il miglior suono mai avuto dagli Anvil. Il mondo sembra rosa, tranne che alle case discografiche; tutte quelle interpellate, senza eccezione, rifiutano di produrre l'album delle cariatidi, tanto che gli Anvil lo autoproducono. Nulla è cambiato, il destino sembra scritto ed immutabile, anche se forze invisibili sorreggono questi ragazzi troppo cresciuti, impedendo loro di demolire un sogno, anche laddove il continuo stress e le tensioni arrivano persino a farli litigare fino quasi allo scioglimento. C'è un piccolo raggio di luce però, una nuova data in Giappone, ad un grosso festival, dove tutto è cominciato; stavolta non ci sono 5 persone in una hall per 5000, ma il tutto esaurito, metalkid trepidanti che acclamano la band: "Metal on metal...it's the only way...to hell with tomorrow...let's live for today".
The Story Of Anvil è più che un documentario su una rock band, è giustamente ritenuto un film a tutti gli effetti, poiché è una parabola, uno spaccato di vita e di emozioni umane che trascendono la chitarra elettrica ed i metal anthem. E' la storia di un'amicizia messa alla prova da ogni demone, la cronaca di una passione, di una infinita sequela di sconfitte che non piega chi le subisce, due pugili suonati e storditi che non ne vogliono sapere di andare giù. Il film riesce a farti ridere, quasi a farti piangere di commozione, ti esalta e ti avvilisce; Lips è come Rocky Balboa, un perdente che non ne vuole sapere di perdere e lotta contro l'impossibile. Alcuni passaggi sono veramente mortificanti, ai limiti dello squallore, eppure la stazza di eroi che appartengono alla gente qualunque, gli "everyday people", è cucita addosso a Lips e Robo. Tra Sundance Festival, Sydney Film Festival, Los Angeles Film Festival e Galway International Film Festival, The Story Of Anvil ha avuto una discreta risonanza e qualche riconoscimento in termini di Awards. Il Times lo ha definito addirittura "il miglior film mai fatto sul rock n roll". Ma la pellicola ha avuto soprattutto il merito di regalare un nuovo quarto d'ora di celebrità agli Anvil, che da allora, da "This Is Thirteen", hanno pubblicato altri album e suonato nuovamente in giro. Gli Anvil sono ancora vivi, e certamente prima o poi arriverà l'ennesimo nuovo disco. Non importa se sarà un capolavoro o un album modesto, Lips e Robo hanno maturato un diritto a vita alla riconoscenza.