Nove stagioni complessive, andate in onda negli States in tre periodi differenti, persino in secoli e millenni differenti; la prima dal '59 al '64, la seconda dall'85 all'89, la terza dal 2002 al 2003. La prima ebbe un successo clamoroso, complice anche l'estremo interesse suscitato dalla fantascienza nel periodo "atomico", interesse poi risorto negli anni '80, grazie anche al recupero del genere da parte ad esempio di Steven Spielberg. Non a caso il regista di Incontri Ravvicinati ed E.T. fu anche uno dei quattro precettati per un film da grande schermo che si ispirasse alla serie tv di Rod Sterling, Richard Matheson, Ray Bradbury e Charles Beaumont. Con lui arrivarono John Landis, Joe Dante e George Miller. Nel 1983 uscì Ai Confini Della Realtà nelle sale americane e un paio di anni dopo la serie tornò in tv, grazie a nomi del calibro di Wes Craven, William Friedkin, Martin Landau, Bruce Willis, Morgan Freeman e persino i Grateful Dead a interpretare la sigla del programma.
Un prologo breve, divertente e lapidario apre il film, Dan Aykroyd e Albert Brooks viaggiano in auto nottetempo, annoiandosi a morte; inventano continuamente giochini per passare il tempo, quello di Aykroyd sarà "definitivo". Dopo la consueta cornice con voce off ("C'è una quinta dimensione oltre a quelle che l'uomo già conosce.."), apre quindi le danze John Landis con "Time Out", nel quale lo xenofobo e spregevole Vic Morrow si trova costretto a rivivere tutte quelle situazioni di razzismo, segregazione e sopraffazione che in un impeto di rabbia augura a "ebrei, negri e musi gialli". Quindi raccoglie il testimone Spielberg in "Kick The Can", nel quale assistiamo ai miracolosi eventi che si verificano in una casa di riposo per anziani (qualcosa che prefigura vagamente le atmosfere di Cocoon). Tocca poi a Joe Dante con "It's A Good Life", nel quale una donna (Kathleen Quinlan) si imbatte incidentalmente - è proprio il caso di dirlo - in un ragazzino che pare avere alle spalle una complicata situazione familiare. Riaccompagnatolo a casa scoprirà che le cose non stanno affatto come sembrano. Infine chiude la parata George Miller, che in "Nightmare at 20,000 Feet" piazza su un aereo il povero John Lithgow, terrorizzato dal volo in piena burrasca e preda di visioni allucinanti.
Fuorché il primo di Landis, gli altri tre sono tutti rifacimenti di episodi già visti nella serie degli anni '50. Tutti molto divertenti; forse quello di Miller è leggermente meno spumeggiante, ma comunque l'intero film risulta estremamente ben fatto, pieno di ritmo, ottime trovare visive ed un magnetismo dal quale lo spettatore è letteralmente impossibilitato a sottrarsi. Tutti i registi coinvolti dosano in egual misura e con mestiere ironia e spavento, mantenendosi in perfetto equilibrio sul filo del rasoio. Si ha sempre la percezione che lo spettacolo non sia da prendersi poi troppo sul serio e tuttavia ciò a cui assistiamo è talmente ben raccontato, girato ed interpretato, che viene proprio voglia di crederci. Che poi era il segreto dei vecchi telefilm dei primi '60, impossibili ma irresistibili, tanto che si voleva che fossero veri. La stessa sottotraccia epidermica di X Files (non a caso "I want to believe"), che senza ombra di dubbio prosegue idealmente Ai Confini Della Realtà in chiave contemporanea (anche se la prima serie è già vecchia di un quarto di secolo).
Intelligentemente Landis, Spielberg, Dante e Miller cambiano il meno possibile; omaggiano senza stravolgere. E dunque il film di Ai Confini Della Realtà pare semplicemente un telefilm trasposto al cinema; in questo caso lo stile anziché un limite diventa un'ulteriore spinta propulsiva. Quelle sensazione di b-movie ai limiti del verosimile ("ai confini della realtà", appunto), nei quali la soglia di incredulità si fa assai labile, talvolta andando ben oltre (si vedano le creature cartoonesche di "It's A Good Life"), quei cromatismi eccessivi, quella recitazione estremamente caricaturale, i primi piani estremi ed improvvisi, la voce narrante familiare ed inquietante al contempo (Massimo Foschi nell'edizione italiana, Burgess Meredith in quella originale), l'uso della musica (di Jerry Goldsmith), tutto concorre ad una sensazione dolce e terribile al contempo, col risultato finale di un film delizioso e che finisce troppo presto.
Una tragedia segnò la lavorazione del film, ovvero la morte addirittura per decapitazione da pala di elicottero di Vic Morrow e di altre due comparse (una decapitata ed una schiacciata); in una scena con i "vietcong" Landis pretese che l'elicottero volasse molto basso per creare un senso di minaccia incombente; a causa di ripetute esplosioni (che Landis voleva assai realistiche) l'elicottero perse il controllo e Morrow perse la vita. Landis dovette subire molteplici azioni legali da parte dei familiari delle vittime, comprese quelle dei figli di Morrow, e tra questi Jennifer Jason Leigh. Le due comparse morte per altro erano lavoranti a nero, il che complicò notevolmente i processi, ma alla fine nessuno fu incolpato direttamente dell'incidente (un inaspettato esito all'italiana). Dan Aykroyd riappare nel finale, a chiudere il cerchio, e in verità tutti i protagonisti dei singoli episodi si sarebbero dovuti intersecare negli altri episodi ma questo espediente poi non venne attuato perché troppo complicato (e poi Morrow avrebbe avuto qualche problema....). Infine da segnalare un "forse non tutti sanno che" la sorella di Anthony nel terzo episodio, quella con la bocca cucita che si vede per pochissimi secondi davanti alla tv è Cherie Currie delle Runaways.