A Venezia… Un Dicembre Rosso Shocking

A Venezia… Un Dicembre Rosso Shocking
A Venezia… Un Dicembre Rosso Shocking

Coproduzione anglo-italiana, tratta dal racconto di Daphne Du Maurier (autrice anche del racconto dal quale Hitchcock trasse Gli Uccelli), titolo originale Don't Look Now, molto appropriato, poiché il leit motiv del film è che nulla è ciò che sembra, ed un'attenta lettura della realtà svela ciò che uno sguardo superficiale manca di notare. In Italia arriva come A Venezia... Un Dicembre Rosso Shocking, che va da tutt'altra parte ma - sono sincero - mi pare un piccolo colpo di genio. Ci catapulta immediatamente nel calderone del cinema di genere e per altro coglie elementi comunque pregnanti del film, la cornice veneziana, in inverno, il colore rosso, lo shock; fondamentalmente riassume il film in 4 concetti chiave. Dirige Nicolas Roeg, nato come direttore della fotografia (per Corman, Truffaut, Schelsinger) e che nel 1973 è appena alla sua terza prova da regista. Tuttavia la formazione è solidissima, proiezionista durante il servizio militare, impara le tecniche di montaggio, con la MGM si forma come assistente operatore e direttore della fotografia, quindi a 40 anni si cimenta finalmente come autore e regista. La stoffa evidentemente c'era ed era soggiacente ma il mestiere (anzi, i mestieri) è di conforto e delinea il profilo di un cineasta capacissimo, estroso e importante.

A Venezia... Un Dicembre Rosso Shocking ne è la riprova. Una pellicola affatto facile, complicata nella forma e nel contenuto, apparentemente assegnabile al filone del giallo/thriller/horror ma in realtà assai più profondo e sfumato rispetto al criterio meramente commerciale che talvolta segnava quel filone. La forma è vincente innanzitutto nel montaggio, particolare, diverso, creativo, persino disturbante. Lo spettatore non è mai certo di essere nel posto giusto, al momento giusto, guardando la cosa giusta. C'è un senso di indefinitezza, di fuori fuoco; ovvero lo spettatore sperimenta sulla propria pelle l'assunto principale del film, la realtà non è ciò che sembra. Roeg si sofferma su personaggi, particolari, espressioni, fatti che non necessariamente sono pezzi importanti della storia, colorano e aggiungono fondale ma magari vengono abbandonati o si rivelano una falsa pista. Dobbiamo continuamente scegliere quale sentiero imboccare. C'è un serial killer in azione a Venezia ma non è importante in relazione alla vicenda dei protagonisti, Julie Christie e Donald Sutherland, o forse invece si? E quella risata mefistofelica di Hilary Mason e Clelia Matania nel bel mezzo di un momento di tensione? Cosa voleva significare? Intendeva suggerirmi che...? E quei flashback insistiti, i simbolismi, le precognizioni, l'estrema fluidità del tempo? Gli strani sguardi obliqui e carichi di ambiguità di Renato Scarpa, Leopoldo Trieste e Massimo Serato? Cosa è tutto quel non detto che aleggia in ogni fotogramma?

Lo spettatore si carica come una pila di angosce, presentimenti, sospetti e vive l'inquietudine degli stessi personaggi, fino all'epilogo, altrettanto stupefacente e sinistro come tutto il resto della pellicola. A questo clima emotivo contribuisce il clima meteorologico di una Venezia invernale, gotica, spoglia, anti-glamour e anti turistica, fatta di vicoli bui, calli sporche, edifici scrostati e fatiscenti, mura umidicce, nebbie e vapori. Un dedalo nel quale corrono indaffarati gli attori come si trattasse del labirinto di Minosse. Di colpo irrompono colori accesissimi e su tutti il rosso, filo conduttore del film. Poi ci sono le singole scene, disturbanti come in pochi altri casi è capitato di vedere (bisogna perlomeno pensare ad Argento, Avati, Hitchcock, insomma ai maestri). L'inizio inglese, il crollo dell'impalcatura sotto i piedi di Sutherland (nella quale l'attore, non controfigurato, rischiò sul serio l'osso del collo), lo svenimento al ristorante della Christie, gli sguardi grigi e vuoti della Mason. Poi c'è la scena d'amore, liberatoria e catartica, tra Sutherland e la Christie, inizialmente non prevista, sviluppata in modo deciso e molto sentito, tant'è che sollevò non poche critiche per la sua eccessiva verosimiglianza.

C'è tutto il tema della perdita di un figlio e dell'effetto distruttivo che un trauma del genere scaraventa in una coppia, minandone le basi, le certezze, la comunicazione. Si reagisce diversamente, si perde il contatto con la realtà. Una storia drammatica finemente nascosta dentro un abito apparentemente giallo-horror. L'acqua, il vetro sono filtri ricorrenti, semi trasparenti, attraverso i quali spesso si vede qualcosa, o meglio si intravede qualcosa, si intuisce, e che preludono ad accadimenti. Lo stesso finale del film non fa che ribadire il concetto chiave, la doppiezza della realtà. I due momenti più significativi in sceneggiatura per Sutherland e la Christie, l'amore e la morte, eros e tanatos non sono offerti allo spettatore in modo lineare, liscio e scorrevole, ma in entrambi i casi sono inframezzati - mediante un montaggio serratissimo - da altri immagini, che spesso vanno nella direzione opposta e contraria. Le musiche di Pino Donaggio in tutto ciò sono certamente un ulteriore valore aggiunto.

Trailer ufficiale

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