Vorrei Che Tu Fossi Qui!

Vorrei Che Tu Fossi Qui!
Vorrei Che Tu Fossi Qui!

Se vi siete rotti di sentire sempre rispondere Ken Loach alla domanda "un buon film inglese da guardare? " potreste provare a recuperare questa pellicola del 1987 di David Leland, attore nativo di Cambridge che con Vorrei Che Tu Fossi Qui! debutta dietro la macchina da presa (seguiranno altri cinque titoli, compreso l'ultimo Decameron Pie del 2008, quello con la Canalis che si spoglia....mah!). Tra l'87 e l'88 colleziona qualche premio (tra cui due Bafta) e sembra dare nuovo respiro alla periferia inglese, fatta di piccoli vicoli, casette con giardino, classe lavoratrice intermedia tra proletariato e borghesia, umanità esistenzialmente in disfacimento. Gli anni, manco a dirlo, sono sempre quelli della Thatcher (croce e delizia della Gran Bretagna, se non altro gli artisti, a tutti i livelli, ne hanno tratto ispirazione infinita, seppure in negativo), austerità, privazioni, lotta sociale, moralismo. Le vicende narrate provengono dalle memorie di madam Cynthia Payne, hostess e maitresse di bordello, ma non è di questa nobile professione che si occupa il film. Semmai della sua adolescenza sulle coste dl Sussex.

Lynda Mansell (Emily Lloyd) è una ragazza che nel dopoguerra vive col padre e la sorella. Il genitore è un rispettato parrucchiere del quartiere, la sorellina minore è una boyscout fanatica, mentre Lynda non ha trovato la sua strada. Irrequieta, umorale, ribelle, trova in qualsiasi occasione e contesto il modo per fare emergere la parte più riottosa e trasgressiva di sé. Mal sopporta regole e costrizioni, e scardina continuamente ogni buona creanza pur di disattendere ciò che ci si aspetta da lei. Ha pruriti sessuali che intende soddisfare, è sboccata, non si adegua mai ai lavoretti che svolge (finendo sempre per prendere a male parole colleghi e datori di lavoro). Lynda cerca deliberatamente di scioccare il prossimo, spesso subendone le conseguenze. Un po' per noia, un po' per disubbidienza, diventa l'amante occasionale di un amico del padre, un laido proiezionista allibratore, del quale rimane pure incinta. - SPOILER: sarà propria la maternità a rifondare la vita di Lynda che sembrerà trarne sicurezza e serenità.

L'omonimo brano dei Pink Floyd sarà forse servito come background aleatorio ma c'entra poco e niente con il film. Certo, l'elemento nostalgico è presente, ma nel caso di Lynda è una sorta di invocazione alla madre (morta quando lei ha 9 anni), l'unico altro essere umano in tutta la vita di Lynda che l'abbia mai compresa e consolata. La ragazza soffre di quella perdita ed anche la sua indeterminatezza è da riferirsi prevalentemente alla mancanza di un dialogo, di un punto di riferimento, che il padre non può certo rappresentare, con tutto il suo carico di rigorismo perbenista e conservatorismo bigotto. Lynda si lascia usare dai ragazzi ma al contempo è anche lei ad usarli, ed in qualche caso a spaventarli per la troppa esuberanza. Si rapporta da pari a pari con gli adulti, smascherandone le ipocrisie. La vitalità di Lynda è distruttiva e fondata sul dolore, l'incomprensione, la sofferenza, tuttavia - nonostante ciò - rimane l'unico personaggio con un cuore che batte in petto nella palude di morti viventi che la circondano, capace anche di grande tenerezza. Qua e là Leland dispensa momenti di ironia (sempre amara). Il film si apre e si chiude con una attempata e decrepita ballerina di tip tap che si esibisce come una scimmietta a pagamento sul lungomare cittadino. Qualcosa di grottesco. Suggestiva l'ambientazione inglese, profondamente inglese, in ogni cielo grigio, in ogni mattone rosso delle case, in ogni abito color pastello indossato da Lynda. Ah, per la cronaca di registi inglesi da seguire ce ne sono in abbondanza: Peter Greenaway, Kenneth Branagh, Richard Attenborough, John Boorman...hai voglia.

Trailer ufficiale

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