Top Girl

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Top Girl

Mi ero quasi convinto a non dedicare un post a Top Girl (1996) di Joe D'Amato, per l'assoluta pochezza del film, ma poi, in preda ai sensi di colpa deontologici da visionatore compulsivo di pellicole, e soprattutto consapevole che la scimmia della pigrizia mi stava appollaiata sul groppone sghignazzando per la sua prevedibile vittoria, ho preso monitor e tastiera (un tempo si sarebbe detto carta e penna) ed eccomi qua.

Nei secondi '90 D'Amato aveva già detto e fatto di tutto, gli horror, gli splatter gore, i fantasy, i western, gli storici in costume, le commedie più o meno sexy, gli erotici, la serie di Emanuelle Nera; a partire dal '93 era dedito con continuità (ma scarsa convinzione) al porno tout court, per motivi notoriamente alimentari. Top Girl rimane agli atti più che altro per essere stato il suo terz'ultimo film che per il suo reale valore (nel '99 un attacco di cuore dovuto al diabete se lo porterà via). Al confine tra erotismo e romanticismo, questa "commedia" americana rinverdisce un po' lo stereotipo della ragazza di provincia che sogna un futuro nello show biz. In questo caso si tratta di fare l'attrice, in Showgirls di Verhoeven la ballerina, come pure per Flashdance, mentre la Aguilera di Burlesque vuol diventare cantante, per citare esempi prossimi. La protagonista parte per la grande città tentatrice, qui si scontra con mille compromessi da fare, meschinità e soprattutto l'attenzione spasmodica degli uomini di potere, fino a rimanere scottata nella sua più intima e profonda innocenza, perché la società in fondo in fondo è marcia. Questo lo schema di massima, poi segue (più o meno) un lieto fine speranzoso.

D'Amato si attiene all'impianto di base ma procede sciattamente, assumendo una confezione del racconto che avvicina Top Girl ai serial tv anni '90 tipo Beverly Hills 90210 e Melrose Place, naturalmente in chiave meno casta e più pruriginosa. Ciò nonostante, non è che Top Girl riservi questi grandi momenti di erotismo. Ci sono una manciata di scene, stanche, banali, un po' qualunque; indovinate con chi se la intende il figaccione dell'emittente tv (che ovviamente è un Dio Thor biondo e palestratissimo)? Con la segretaria, ovvio. E dove ne gode? Sulla scrivania dell'ufficio, ovvio. E lei, come tutte le altre dipendenti della tv, con quale mise si presenta in ufficio? Col gonnellino cortissimo, i tacchi ed i bei capelli vaporosi sulle spalle, ovvio. Vediamo la stessa protagonista (la belloccia Carla Solaro) più volte sottostare adagiata sul letto allo stallone di turno, o al massimo che si libra a cavalcioni sopra, secondo un'estetica erotica abbastanza trita e priva di quei guizzi massacceschi ai quali invece eravamo abituati (pur senza tirare in ballo necessariamente gli hard). Ci sono fotogrammi pseudo insert, come quando ad esempio, mentre lo stallone amoreggia con la segretaria (Linda Gucciardo), vediamo una mano che si insinua negli slip di lei, ma non c'è continuità di immagini e posizioni; insomma, appare chiaro che un conto è la scena di loro due che flirtano, altra è quello spezzone che va a cercare la "culla della vita". Fanno un po' a cazzotti (leggi: taglia e cuci). I brividi caldi derivano solo dall'avvenenza delle attrici; come detto, davvero discreta la Solaro e caruccia pure la Gucciardo. C'è poi Sonia Topazio (nel film un po' la ruota di scorta dello spietato Robert Madison), specializzata in film di genere o comunque pellicole ad alta caratura "carnale", avendo recitato in carriera in Una Donna Da Guardare, La Carne, i Corto Circuiti Erotici di Tinto Brass, ma anche ne La Sindrome Di Stendhal di Argento e M.D.C. - Maschera Di Cera.

D'Amato gira come se non gliene potesse importare di meno; fotografia, scenografie, per non parlare della recitazione (cinofila), tutto un po' anonimo. I dialoghi sono più che tirati via e la storiella si trascina per inerzia, tanto da arrivare a quel punto in sceneggiatura nel quale finalmente è previsto che la tizia di turno si spogli e si faccia palpare dal tizio. Terribili i titoli di testa, meno che televisivi, sembrano quelli della consolle Intellivision o di una qualche trasmissione sportiva domenicale della Rai dei primi anni '70. Titolo modestissimo della carriera di D'Amato, da vedere solo per completismo filmico (e mammario).

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