L’Ultima Volta Che Vidi Parigi

L’Ultima Volta Che Vidi Parigi
L’Ultima Volta Che Vidi Parigi

Richard Brooks è quello de Il Seme Della Violenza (1955), La Gatta Sul Tetto Che Scotta (1958), sempre con Liz Taylor, e I Professionisti (1966), tanto per citare alcuni suoi film. Nel 1954 gira questo splendido dramma sentimentale, molto profondo per la verità, nonostante la cornice romantica. La vicenda vede il tenente americano Charles Wills (Van Johnson) rievocare in forma di lungo flashback gli eventi accaduti a Parigi, dove si trovava d'istanza con l'esercito americano quando venne liberata la Francia dai nazisti. Qui conosce Helen Hellswirth (Elizabeth Taylor), di famiglia benestante (meno di quanto dia ad intendere) e scapestrata. Anche Marion Hellswirth (Donna Reed) si innamora del tenente, ma lui le preferisce la sorella. La coppia si sposa e conduce i primi anni di matrimonio in modo felice e spensierato, fino a che gli eventi (la mancata affermazione professionale di Wills come scrittore, la difficile situazione economica, l'effimera routine quotidiana fatta di eventi e feste mondane) minano quel legame magico. Entrambi si rivolgono ad affetti extra matrimoniali, un tennista squallido ma charmant (Roger Moore) ed una ricca signora americana che colleziona mariti e divorzi (Eva Gabor), ma il diversivo è più per noia che per reale interesse. - SPOILER: Quando Helen si ammala di polmonite, i due si ricongiungono sul letto di morte. Perduta per sempre la sua sposa, Charles cerca in ogni modo di ottenere l'affidamento della figlia Vicki, nel frattempo andata a vivere da Marion. Sarà una dura battaglia, poiché attraverso il possesso di Vicky Marion intende far scontare all'uomo che aveva amato l'essere stata a suo tempo rifiutata. Ma grazie all'intercessione di suo marito Claude (George Dolenz), Marion infine acconsentirà, lasciando riconciliare padre e figlia nel nome di Helen.

Il tono è assai drammatico, a tratti si può dire persino melenso, tuttavia i dialoghi sono caratterizzati da una sorprendente verticalità. Con le dovute licenze poetiche del caso, il rapporto matrimoniale tra Johnson e la Taylor può rispecchiare qualcosa di reale, che molti spettatori possono riconoscere come vicino, prossimo a loro. Dall'iniziale vitalismo spumeggiante e corroborante si scivola progressivamente nell'abitudine, nella depressione, nella perdita di fiducia e di autostima, fino a compromettere gli affetti (ed abbandonarsi alla bottiglia), e perdere anche il senso della realtà. Charles e Helen sono due persone vere, tridimensionali, a tutto tondo, per entrambi si prova affetto, compassione e tenerezza. Johnson riesce mirabilmente a dar corpo ad un uomo pieno di fragilità ed ombre, la Taylor oltre ad essere di una bellezza stordente, è letteralmente una magnifica attrice. Alcune scene del film sono davvero memorabili, pur nella semplicità della situazione rappresentata. Ogni vestito indossato da Liz è un gioiello che ne valorizza ulteriormente la bellezza. Le mise in giallo, in bianco tempestato di preziosi luccicanti, in sottoveste davanti allo specchio, in nero scollato o in rosso acceso mentre tutto intorno la neve accende ancora di più la silhouette dell'attrice, sono fotogrammi che si tramutano in quadri di rara poesia. Molto divertente anche il personaggio del padre delle due sorelle Hellswirth, James (Walter Pidgeon), un festaiolo e donnaiolo impenitente, del tutto anticonformista e sempre pronto a godersi i piaceri della vita. Piccolo ruolo per Roger Moore, qui al debutto, nei panni del viscido tennista che flirta con Elizabeth Taylor. Effimera ma simpatica (nonché naturalmente biondissima) l'altolocata multidivorziata interpretata da Eva Gabor, sorella di Zsa Zsa.

Il finale vira un po' sul patetico, ma tutto sommato la storia ha uno sviluppo coerente e a fine visione la malìa rimane comunque. Lo scenario di Parigi poteva magari essere meglio sfruttato, di Parigi si vede pochino (anche se la pellicola venne effettivamente girata tra Parigi e Cannes), la maggior parte delle scene sono in interni, e che siamo in Francia ce lo ricordiamo più per il titolo del film che per quello che vediamo sullo schermo. Tuttavia Liz Taylor è talmente "potente" da saturare da sola il fotogramma. Ad un certo punto del film i militari americani ascoltano trepidanti alla radio la resa del Giappone a seguito del bombardamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki, festeggiando l'iniziativa americana come propedeutica alla fine della guerra. Quel momento fa un po' accapponare la pelle poiché evidentemente ancora nel '54 Brooks, e con lui gli americani, non avevano chiara la portata dello sconsiderato atto di morte compiuto a danno di milioni di persone e per diverse generazioni. La sceneggiatura, scritta dal regista assieme ei fratelli Epstein (quelli di Casablanca) si ispira all'omonimo romanzo di Elliot Paul ed al racconto Babilonia Rivisitata di Francis Scott Fitzgerald.

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