La Caduta Degli Dei

La Caduta Degli Dei
La Caduta Degli Dei

Primo capitolo della cosiddetta trilogia tedesca viscontiana, che proseguirà nel '71 con Morte A Venezia e nel '72 con Ludwig, nonché alfa del cinema cosiddetto nazierotico. La Caduta Degli Dei non è un film erotico, perlomeno non in senso esplicito, tuttavia contiene in sé una decadente morbosità ed una sessualità (perversa) inespressa che, tramandata dalle mani del misuratissimo Visconti a quelle di mestieranti, registi ed autori con scrupoli assai minori del cinema bis, farà fiorire - soprattutto in Italia - il cosiddetto sub genere dell'eros svastica e/o nazispolitation e/op nazi porno. Visconti ne è il padre nobile, e con molta probabilità il 90% delle pellicole (de)generate dal suo Götterdämmerung le avrebbe disapprovate; volente o nolente però, da Salon Kitty agli ultimi fuochi alla fine dei '70 con La Bestia In Calore o Holocaust Parte Seconda - I Ricordi, I Deliri, La Vendetta, il filone uncinato ha visto qualcosa che gli apparteneva in Visconti e lo ha trasfigurato nel modo moralmente più abbietto possibile.

Con classe, formalismo, eleganza ed un certo snobismo intellettuale, Visconti dà corpo alle vicende di una potentissima famiglia industriale tedesca nella Germania di metà anni '30. Non è difficile scorgere in parallelo il nome dei Krupp, dinastia pluricentenaria di Essen che fabbricò acciaio ed armi per la Germania, e che negli anni di Hitler dovette servire la voracità del Nazionalsocialismo. Mantenendo la radice geografica, Visconti delinea il profilo degli Essenbeck, guidati dal patriarca, il barone Joachim, tutt'altro che simpatizzante del nazismo ma costretto a venirvi a patti per il bene dell'azienda. Durante una solenne cena che riunisce l'intero gruppo, lo spettatore inizia a familiarizzare con i vari personaggi, uno più dissoluto dell'altro. Chi è accettato dalla fama di potere, chi ha turbe sessuali, chi è un debole soggiogato dagli ego altrui, chi è un idealista privo di concretezza. Ha inizio il grande crepuscolo degli Dei, mentre sullo sfondo il mostro della storia, Hitler ed il suo Nazismo, sorge prepotente sul palcoscenico del '900, portando l'Europa nelle tenebre più scure e infernali che abbia mai conosciuto. Depurato dell'alone di apocalisse imminente, tragedia e ineluttabilità mortifera, La Caduta Degli Dei è una grande soap opera di intrighi e inganni familiari, con personaggi borderline spesso ai limiti del kitsch. Il cugino Aschenbach (Helmut Griem) è lo stereotipo macchiettistico del nazismo più becero, un pallottoliere di morte che cammina, un generatore di pugnalate alla schiena, ciecamente asservito al progetto della svastica; Sophie von Essenbeck (Ingrid Thulin) è una matrona ambigua e provocante, sessualmente indecisa tra l'amante ed il figlio, divorata dall'ambizione e dalla brama di potere; suo figlio Martin (Helmut Berger) è un concentrato di turbe psichiche, soffre del complesso di Edipo, è un frustrato represso con tendenze pedofile e con un senso di rivalsa che gli farebbe uccidere anche sua madre (cosa che in effetti farà, non senza averla pure umiliata, possedendola carnalmente); Konstantin von Essenbeck (Reinhard Kolldehoff), nipote di Joachim, ricorda un po' il Lee J. Cobb de La Parola Ai Giurati, sia per fattezze che per atteggiamenti. Nei 150 minuti di pellicola ne accadono di ogni, un tutti contro tutti che prevede alleanze discontinue ed intercambiabili, rovesciamenti di fronte e incursioni in tematiche abbastanza scabrose per la fine degli anni '60 e per un regista dei piani alti come Visconti, vedi incesto e pedofilia. Per altro, a livello strettamente tecnico-filmico, questi sono due dei momenti più belli ed intensi della storia, grazie anche al magnifico uso delle luci di Armando Nannuzzi e alla delicatezza della piccola bimba ebrea a cui Berger rivolge le sue insane attenzioni.

Non è da meno il funereo matrimonio tra la Thulin e Dirk Bogarde, con la sposa di un pallore cadaverico, straniata e allucinata poiché più prossima alla morte che alle gioie di uno sposalizio; o la terribile notte dei lunghi coltelli, in cui le SS regolarono i conti con le SA, sorprendendole all'alba, in un sonno alcolico successivo ad un festino orgiastico (dai vaghi contorni gay) che Visconti e Nannuzzi rendono al meglio, con colori irreali e teatrali. Berger raggiunge livelli parossistici (impossibile dimenticare il numero "alla Marlene Dietrich", che Tinto Brass farà ripetere ad un'altrettanto ambigua sessualmente Ingrid Thulin all'inizio di Salon Kitty, citando evidentemente La Caduta Degli Dei) e si macchia di ogni nefandezza, tuttavia pare quasi che l'occhio di Visconti sia meno indulgente con l'indolenza dell'aristocrazia tedesca, qui incarnata da Joachim von Essenbeck, tutta rivolta alla conservazione del proprio tornaconto economico e dei propri privilegi, tanto da far entrare in casa propria il nazismo, foraggiarlo ed infine farsi da parte quando oramai ogni resistenza risulta vana. Visconti dichiarò di aver voluto realizzare la sua versione moderna del Macbeth, che la fornace che apre e chiude il film è il tempio che ospita la caduta degli Dei, in un tempo volutamente "irreale", nel quale umani e divinità si mescolano intralciando gli uni i destini degli altri e soccombendo inesorabilmente.

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