House Of Versace

House Of Versace
House Of Versace

Biopic andato in onda su Sky dedicato alla famiglia Versace (anzi "Versaci", come dicono in America), e segnatamente a Donatella, leader della casata dopo l'omicidio del fratello Gianni nel 1997. Negli States è stato trasmesso da Lifetime e si è rivelato un mezzo terremoto. I Versace lo hanno rifiutato con sdegno, si sono affrettati a precisare che non è autorizzato in alcun modo dalla famiglia e che, ovviamente, non rispecchia manco per niente la storia dei Versace. La qual cosa era piuttosto prevedibile, visto che gli stilisti sono trattati con poco velluto nel film e che l'ispirazione proviene da "House Of Versace: The Untold Story Of Genius, Murder And Survival", scritto nel 2010 dalla giornalista del Wall Street Journal Deborah Ball. Non ho idea di quanto la drammatizzazione televisiva rispecchi i contenuti del libro, di certo mira espressamente all'eccesso, al kitsch, al parossisimo, anche alla ridicolizzazione, diciamolo, dei personaggi coinvolti, in primis Donatella. Se per un verso c'è molto rispetto per la moda italiana, per il talento visionario e creativo dei Versace (e di altri stilisti italiani citati nel film), dall'altro c'è una certa aria di scherno nei confronti dello stereotipo italiano, stanno perculando un po' anche noi.Oggettivamente è difficile occuparsi di Donatella Versace senza perlomeno adottare uno stile ironico. Per quanto mi riguarda il personaggio è particolarmente sgradevole, ed infatti uno dei motivi che mi ha spinto alla visione è il fatto che il ruolo fosse stato affidato a Gina Gershon. La somiglianza fisica è notevole seppur in senso migliorativo, ovvero: per quanto abbiano cercato di imbruttire la Gershon e parodiare il look di Donatella, il fascino della Gina è riuscito comunque a spuntarla, facendo capolino, e rendendo la sua signora Versace molto più attraente di quanto non sia l'originale (oramai ad un passo da l'E.T. di Spielberg). La Gershon inizialmente non intendeva interpretare l'icona della moda italiana, ritenendola troppo appariscente e caricaturale. La sua paura insomma era quella di essere costretta a fare la macchietta ma poi, leggendo la sceneggiatura, si è invece innamorata della sua parte ed ha accettato. Ora, la macchietta è macchietta, e la sceneggiatura certo non ricorda "La Critica della Ragion Pura" di Kant, però è anche vero che la Gershon il suo rischio se lo è accollato, visto che sicuramente House Of Versace qualche antipatia e malumore le sarà costato, anche nel suo ambiente, piuttosto contiguo a quello della Moda. Per immedesimarsi al 100% ha studiato ogni filmato possibile disponibile in rete su Donatella, le movenze, l'abbigliamento, la mania ossessiva per i tacchi altissimi, persino l'accento italiano, tant'è che se si ha la pazienza di guardare il film in lingua originale l'impressione che si ha è proprio quella di un'attrice italiana che recita in inglese (alcune battute sono direttamente in italiano). Mimesi perfetta, e la Gershon ha raccontato che a tratti gli attori facevano fatica a capirla sul set vista la sua marcata cadenza italo-americana.

I Versace in questo biopic sembrano la famiglia Munster più che un esempio di valori umani e successo. Gianni è una checca tronfia, Santo è un ragionierino avido e pedante, Donatella è una tossica invidiosa ricalcata pari pari su una partecipante di un qualche reality alla Geordie Shore. Come i tre siano diventati "i Versace" pare un mistero. Chiaro che il biopic esageri un po' (non troppo, un po'), chiaro che quando assistiamo alle privatissime liti familiari chiuse tra quattro mura e senza testimoni, la licenza poetica si è presa giocoforza le sue libertà; tuttavia, inquadrato come una specie di Beautiful super concentrato in meno di due ore, il film diventa persino divertente. Quando entra in scena Raquel Welch (la zia Sofia di casa Versace) il mondo della chirurgia plastica ha avuto un sussulto. La (ex) bellissima Welch è veramente ridotta come un comodino puntellato con i ponteggi, francamente imbarazzante. Le scene a due tra lei e la Gershon (un po' risistemata di suo, e ulteriormente incatramata dal trucco per simulare la fisionomia deforme di Donatella) sono qualcosa di fantascientifico. I personaggi, anche quelli di contorno, risultano tutti piuttosto superficiali e sempliciotti. La fiction mira al sodo, deve raccontare tanto in poco tempo e compie salti temporali di interi anni in pochi fotogrammi.

Non manca l'happy ending, ovvero dopo un periodo buio scandito dalle droghe e dagli eccessi megalomani, nel quale Donatella manda sull'orlo della bancarotta l'azienda, la resurrezione arriva a colpi di rehab e buonismo; ed ecco che la stilista ritrova il talento perduto e riporta all'apice il marchio Versace, ricompattando anche la famiglia. Curioso il fatto che il film sia diretto da una donna, Sara Sugarman, particolarmente smaliziata, cinica e cattiva su Donatella. Fosse stato diretto da un uomo certamente avrebbe dovuto scontare l'accusa di misoginia. Molto scarno il trattamento riservato all'omicidio di Gianni, una specie di imprevisto capitato senza arte né parte che avrebbe meritato un po' più di pagine scritte in sceneggiatura (ammesso che ne sia stata scritta una). A conti fatti la Gershon ne esce bene, la sua è una buona prova, tutta da caratterista però.

Trailer ufficiale

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