Histoire D’O

Histoire D’O
Histoire D’O

Se non si è mai visto Histoire D'O e soprattutto se non lo si è visto all'epoca (io, per dire, avevo 17 mesi quando uscì nelle sale nell'agosto del 1975) la prima reazione è scioccante, non tanto per le immagini alle quali si è assistito - certo, anche quelle - ma per il pensiero che un film del genere sia stato concepito, realizzato e proiettato nelle sale, che attori e attrici abbiano accettato di parteciparvi (in realtà non fu così semplice), che un regista abbia saputo trarre dalle pagine del romanzo di cui è un adattamento (di Dominique Aury, pseudonimo di Anne Desclos, 1954) una pellicola che, pur con tutta la sua violenza visiva e la ferocia concettuale, sia anche e persino una collezione di immagini incredibilmente estetizzanti, eleganti, magniloquenti, opulente. Just Jaeckin dirige nel '74 Emmanuelle e l'anno dopo Histoire D'O, fissando di fatto e per sempre i canoni dell'erotismo cinematografico francese e lasciando il proprio marchio indelebile (come accade per la povera O...) anche nella storia del cinema erotico mondiale. Davvero sconvolgente pensare che in appena un biennio dalla Francia arriveranno due pellicole così dirimenti, definitive, capitali. La vicenda della quale cade preda Corinne Cléry nei panni (pochi) di O - una donna che si fa conoscere solo per le sue iniziali, come a voler annullare la propria personalità, il proprio Io, la propria essenza - è disturbante ed inquietante. Laddove il gioco erotico che la vede costantemente al centro possa eventualmente risultare allettante (ma paradossalmente l'erotismo è forse la componente che si avverte meno), non è mai possibile scindere quel brivido con l'imbarazzo del torbido e del "guasto". O ama incondizionatamente e tale privazione di condizioni fa si che si sottometta al completo e totale volere del proprio amante. Il mondo degli uomini che la circondano è fatto di dominatori, detentori incontestabili di beni e possedimenti (come i monarchi medievali), e tra questi averi ci sono anche i corpi femminili, puro oggetto di desiderio e sollazzo. Almeno fino a che O non si imbatte in Sir Stephen (Anthony Steel), ultimo di una filiera di padroni che, dopo averla reclamata come una schiava dal suo amante precedente - il fratellastro René (Udo Kier) - si scopre suo malgrado innamorato di O, spezzando così la disciplina di convenzioni che regolavano quel microcosmo sociale (l'unico che vediamo nel film, come se fosse di fatto anche l'unico possibile). - SPOILER: solo nel finale O, dopo essere stata addirittura marchiata a fuoco con le iniziali di Stephen, potrà dire di aver avviluppato a sé e per sempre il suo padrone (che a sua volta marchierà con la O sulla pelle), forse svincolando entrambi da una spirale destinata altrimenti a non finire. Tuttavia il pegno che anche O paga è quello di introdurre a sua volta un'altra donna al gioco che un tempo anche lei dovette accettare. Una vita per un'altra vita, un corpo per un altro corpo.

Immaginare che oggi un'attrice, anche esordiente (come era allora la Clèry), accetterebbe di interpretare  un simile ruolo è impensabile. O è un personaggio talmente forte, estremo, intenso, terroristico, da risultare distruttivo, in primis per una carriera tutta da costruire, ma persino per la psicologia dell'attrice, se non dotata di un carattere ed un'indole sufficientemente saldi da poterlo reggere e liberarsene una volta terminate le riprese. All'epoca la Clèry fu il prodotto di una sere di rifiuti precedenti (Anulka Dziubunska, attrice e modella di Playboy, e Brigitte Fossey, che qualcuno ricorderà come la madre di Sophe Marceau ne Il Tempo Delle Mele). In qualche maniera riuscì ad uscire viva dal tritacarne di Histoire D'O, arrivando persino ad essere una Bond girl in Moonraker (non un ruolo da Oscar s'intende, ma il segno evidente che la sua considerazione anche a livello internazionale non era stata offuscata da quell'esordio così destabilizzante). Tra i tanti "no, grazie" ci fu anche quello di Christopher Lee per il personaggio di Sir Stephen. Histoire D'O era un film che faceva paura, ancor prima di esistere, e dopo averlo visto al cinema i vari attori inizialmente interpellati non devono essersi pentiti di non avervi preso parte, atterriti di finire smembrati da tanta potenza, sovversione e crudeltà.

Fa ancora più effetto pensare che a monte di tutto ci sia l'immaginazione di una donna, la Aury. Ci vollero 40 anni perché confessasse di esserne l'autrice, motivandone la messa in stampa con il "solo" desiderio di accontentare il suo amante, lo scrittore ed accademico di Francia Jean Paulhan, grande estimatore del marchese De Sade (proprio qui e in Venere In Pelliccia l'ombra fosca del divino marchese si è avvertita con maggior intensità, parlando di cinema). Per anni nessuno ha mai creduto che l'autore di quella storia potesse appartenere al genere femminile, così vessato e martoriato nel libro. Fu un vero e proprio scandalo, tanto la sua pubblicazione quanto la rivelazione del 1994. Jaeckin arrivò a sostituire Jodorowsky alla regia, anche se personalmente non conosco le motivazioni del mancato arruolamento del visionario drammaturgo e regista cileno. Inutile dire che il film venne censurato e decurtato di decine e decine di minuti, con relative accuse di oscenità. La sua versione originale integrale dovrebbe essere di 105 minuti (in Italia ne uscì una addirittura sugli 80, praticamente era stato espunto 1/3 di pellicola). Esistono 3 seguiti, realizzati tra il 1981 ed il 2002.

Nelle immagini di Histoire D'O si possono cogliere riverberi che faranno poi capolino nell'opera di altri registi. Difficile credere che Tinto Brass (noto amante del cinema e della cultura transalpina) non abbia metabolizzato il film, così come la scena sul finale di O che si traveste da rapace non può non far pensare alla grande festa orgiastica di Eyes Wide Shut di Kubrick, giusto per citare due pezzi da novanta. L'aspetto più soffocante del film è che la società che viene rappresentata non ha nulla di clandestino o segreto, non è una fetta di mondo sotterraneo, di "nicchia", è la normalità, il quotidiano, la prassi, è l'unica società che esiste, nella quale le donne sono sempre solo e soltanto oggetti in mano agli uomini. Intendiamoci, la vera forza, la vera statura (anche e soprattutto morale) è proprio quella delle donne, che si rivelano assai più tenaci, determinate (nel sopportare quel che sopportano) e robuste dei loro padroni, spesso sin troppo emotivi, superficiali e lunatici; tuttavia il ricorso alla violenza e alla sopraffazione rimangono comunque ostici da digerire. E' un mondo di carnefici e vittime senza divise militari e svastiche addosso, è qualcosa che ci è stato ciclicamente riproposto, con Salò di Pasolini o con Salon Kitty di Brass, per fare due esempi. In questa evidenza della prevaricazione, dell'annientamento, del possesso, che è innanzitutto esercizio di potere (ed al quale le donne teoricamente possono sottrarsi in ogni momento, a patto che siano psicologicamente indipendenti per riuscirvi e che accettino poi di serbare in dote un dolore eterno e quasi insostenibile, oppure che a loro volta diventino delle esecutrice impietose.... come succede alla maitresse Anna-Marie o alla stessa O per un breve momento, quando viene obbligata a frustare Yvonne), si annida l'ambiguità del "piacere della schiavitù", secondo il quale infliggere afflizione, cedere la propria "proprietà" a terzi sarebbe il segno inequivocabile dell'amore, poiché si può dare solo ciò che si possiede veramente. Una perversione che stritola il cervello e crea un corto circuito profondo, col risultato che lo spettatore finisce con l'avere la stessa reazione del povero Ivan (Alain Noury) quando trova O nuda, incatenata e coperta di frustate su tutto il corpo, ma con l'espressione fiera di chi ha visto l'inferno e gli è sopravvissuto.

Trailer ufficiale

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