Gothic

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Gotici ma soprattutto romantici sono i protagonisti della visione di Ken Russell di come potrebbe essere andata quella fatidica notte in cui Mary Wollstonecraft (poi Shelley) partorì il Frankenstein, Polidori Il Vampiro e Byron e Percy Shelley trassero ispirazione per i loro versi. Il lungometraggio datato 1986 fa riferimento ad un fatto realmente accaduto e raccontato proprio dalla Shelley, quella scellerata notte trascorsa presso villa Deodati, sul lago di Ginevra, residenza di Byron, durante la quale tra bagordi di ogni tipo a base di alcol, oppiacei e amore libero, i quattro  poeti e scrittori (più l'amante di Byron nonché sorellastra di Mary, Claire Clairmont) si sfidarono a colpi di storie sui fantasmi, e fu un miracolo che non ci scappò il morto. Al netto di qualche licenza poetica presa da Russell (ad esempio fu Shelley ad ospitare Byron e non viceversa), il film è tanto una bella prova visiva quanto una dura prova per lo spettatore in cerca di sceneggiature sostanziose. Impostato il contesto degli avvenimenti, Russell si abbandona ad una serie di deliri uno dietro l'altro, dando spazio quasi essenzialmente ad allucinazioni, sogni ed incubi dei protagonisti (e, per proprietà transitiva, propri), trascinando senza remore lo spettatore in questo gorgo psichedelico e minaccioso. Muoia Sansone con tutti i filistei - pare dire Russell a chi incautamente si fosse seduto davanti allo schermo. La pellicola ha subito serie critiche proprio per questo aspetto ma, a ben vedere, il "limite" del film è anche il suo traguardo. Russell non ha "dimenticato" la sceneggiatura, non è scivolato su una buccia di script debole o poco efficace, semmai ha volutamente privilegiato la forma rispetto al contenuto, sublimando la parola nell'estetica pura e restituendoci un film dove l'arte è per l'arte, senza mediazioni razionali o logico-analitiche.

Si può naturalmente convenire sul fatto che questo sia o meno un punto a favore del film, su quanto la visione sia "pesante" e sconclusionata, ma bisogna perlomeno riconoscere a Russell l'onere e l'onore di una scelta operata consapevolmente. E se c'è un regista visionario e incontenibile sotto l'aspetto del paradosso, dell'assurdo, dell'eccesso e dell'enfasi, quello è Ken Russell. Il cuore del film risiede nelle dinamiche tra i personaggi, nei loro rapporti interpersonali, tutti sistematicamente conflittuali, anche laddove vigono amori e legami sentimentali, come nel caso di Mary (Natasha Richardson) e Percy (Julian Sands) ad esempio, tra i quali si incunea l'elemento disturbatore di Byron (Gabriel Byrne), capace di sedurre ed attrarre a sé magneticamente tanto l'una quanto l'altro. I personaggi sono piuttosto interessanti, ad eccezione forse di John Polidori. Debole e pederasta, come ama schernirlo Byron, il medico interpretato da Timothy Spall è esageratamente macchiettistico e caricaturale per reggere il confronto con gli altri. Tuttavia la perfetta resa ed identificazione che Russell dà dei protagonisti è calzante e coinvolgente. Lo spirito Romantico - letterariamente parlando - è reso appieno, ogni istinto, sensazione, affermazione e comportamento dei nostri rispecchia fedelmente l'ideale Romantico, titanico e "byroniano" del periodo. Il Vampiro che di lì a breve scriverà Polidori si dice sia stato proprio ispirato dalla figura di Byron, potente e carismatica, ma anche profittatrice e un po' meschina. Percy Shelley è più delicato, quasi femmineo nella propria emotività; Mary rappresenta l'elemento più concreto e razionale della brigata, anche se alla fine, preda dei suoi demoni per la perdita di un bambino concepito con Percy, cede anch'ella alla follia. E dai suoi rimorsi e pentimenti, e dalla visione del compagno nudo sul tetto durante il temporale, in attesa di essere colpito da un fulmine, nasceranno le suggestioni per il suo Frankenstein. Infine c'è Claire, sorta di diavolessa tentatrice, compagna più che idonea del diabolico Byron. Sebbene Russell non insista granché sull'aspetto erotico della vicenda, le allusioni alla bisessualità ed omosessualità dei personaggi sono plateali, anche laddove, come nel caso di Polidori, l'orientamento sessuale non sia mai emerso così esplicitamente.

La fotografia di Gothic deve andare necessariamente pari passo agli ebbri farneticamenti "concettuali" di Russell. La pellicola in alcuni passaggi si attesta come un vero e proprio horror, e dove non è la componente "schifosa" ad emergere, subentra l'angoscia asfittica che attanaglia i personaggi (si prenda ad esempio Mary che cerca di trovare una via di fuga circondata da porte chiuse a chiave). Russell non vuole dare punti di riferimento allo spettatore, così come i suoi stessi eroi non li hanno, accecati dalle abbondanti dosi di làudano assunto nel corso della serata. Byron, Shelley e gli altri sono disposti a credere a tutto, qualsiasi evocazione, espiazione o punizione può attenderli da un momento all'altro, e le uniche artefici di tanto sconquasso sono le loro menti immaginatrici (evidente inno - ancorché violento - alla fantasia creatrice dell'arte, degna della scintilla della creazione divina). Al racconto di Mary Shelley Russell aggiunge del proprio, facendo preconizzare alla scrittrice quello che sarà il cupo destino riservato ad ognuno di loro. Mary lo conoscerà mediante le sue visioni, e puntualmente negli anni a venire si tradurrà in accadimenti tragicamente reali (la morte di Byron durante la guerra in Grecia, l'annegamento di Percy nel golfo di La Spezia, il suicidio di Polidori). Visivamente Russell si appoggia a citazioni pittoriche vere e proprie; la stessa locandina del film è una celebre riproposizione dal vivo de L'Incubo di Füssli. Le musiche, affidate a Thomas Dolby, non sempre convincono, contrapponendosi talvolta al film (di matrice chiaramente ottocentesca) e mimetizzandosi quasi con un horror qualunque dei giorni nostri, come si trattasse di un Venerdì 13 anziché di un film in costume su dei poeti Romantici.

Trailer ufficiale

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