Cosa Fai A Capodanno?

Cosa Fai A Capodanno?
Cosa Fai A Capodanno?

Diogene cercava l'uomo, io molto più modestamente cerco l'eccezione che conferma la regola. La troverò prima o poi (comincio a temere più poi che prima), nel frattempo la regola, il canone, sono ampiamente confermati, passo dopo passo, visione dopo visione, delusione dopo delusione. Parliamo di Benbow vs. la commedia italiana 2.0, la commedia dei quarantenni odierni, puntellata di film tutti uguali, perlopiù con gli stessi attori, strapiena di cliché, stereotipi e vezzi che si ripetono identici all'infinito, senza la minima speranza di un barlume di inventiva, di originalità, di creatività. Qua siamo a Capodanno, secondo la sceneggiatura di Filippo Bologna, romanziere, sceneggiatore e dal 2018 pure regista, con evidenti debiti di riconoscenza verso il cinema "strano" (secondo lui), quello dei fratelli Coen e di Quentin Tarantino, quest'ultimo per altro generosamente saccheggiato in lungo e largo durante il film. Si parte subito con atmosfere tarantiniane, quando a Scamarcio parte brutalmente un dito nella neve, spezzando l'idillio da commedia e facendo irrompere nella narrazione un'atmosfera pulp, cruda e sarcastica; il pensiero non può non andare a quelle fulminee rasoiate che pure Tarantino infila nei suoi film. E qual è la storia? In una villa montanara c'è un raduno di scambisti, ma alla magione si ritroveranno personaggi vari e strampalati, tra questi anche alcuni affatto interessati al rendez vous lussurioso, i quali innescheranno dinamiche impreviste  e "pericolose".

Bologna furbescamente usa la commedia ma la imbastardisce un po', rendendola più sporca e aggressiva ("alla Tarantino" appunto) e più in là smorzandola con parentesi drammatiche e moraleggianti. Il cast: Argentero accontenta l'esigente pubblico femminile; stavolta fa addirittura il duro, perlomeno non è il solito allocco romantico... ma dura poco eh, metà film, poi il suo personaggio mostra preoccupanti deja vu con ruoli del passato. Ilenia Pastorelli è condannata a fare la coatta da Grande Fratello (del resto lei e Argentero provengono da lì), accento romano pronunciato, misto di candore, ingenuità, rozzezza e sensualità (ovviamente, con il fisico che si ritrova non poteva mancare la scena in lingerie). Alessandro Haber è il magister, l'attore anziano che detta la via, il mestiere certo non gli è mai mancato (qualche ruolo scelto con più acume invece si). Vittoria Puccini è una specie di ragazzina punk, ribelle, alternativa e depressa (volevate non avere qualche battuta in sceneggiatura sulla psicanalisi, gli psicanalisti, Jung e compagnia bella? Per carità, verrebbe a mancare uno dei capisaldi della commedia italiana 2.0). Isabella Ferrari fa le funzioni di Argentero per il pubblico maschile; stupenda, sensuale mille volte di più di qualsiasi sua collega con 20 anni di meno, qui impiegata in un ruolo demenziale e modestissimo, la salva la sua recitazione stratosferica. Valentina Lodovini ha tre pose in croce, peccato. Idem Scamarcio. I due sono incipit e chiusa del film. Mera cornice ornamentale. Ludovico Succio è un ragazzino scritto in sceneggiatura da uno che deve immaginare come sono i ragazzini di oggi. Nerd, frustrato, col copione che gli mette sistematicamente in bocca la battuta più prevedibile di questo mondo. A un certo punto pure Haber si infila in un monologo pseudo razzista, per stare al passo coi tempi e assegnare di diritto la pellicola al periodo "sovranista". Tentativo pietoso di stare col fiato sul collo dell'attualità (e che immancabilmente farà sembrare questo film datatissimo tra qualche anno).

Ogni fotogramma è telefonato e prevedibile oltre i limiti del sopportabile, anche se molto probabilmente Bologna è invece convinto di aver messo in piedi stranianti astruserie che lasceranno gli spettatori entusiasticamente a bocca aperta. Le situazioni comiche non lo sono manco per niente; il finto erotismo rimane fuori dalla porta. E che dire delle botte di "seriosità" che ad un certo punto irrompono nel film? Momenti nei quali improvvisamente i personaggi si fanno bergmaniani e pronunciano grandi verità filosofiche sulla vita. Mentre ci pensate, Bologna vi spariglia le carte e vi ributta dentro Pulp Fiction. Ecco sbucare un armadio nero a quattro ante (Sidy Diop), evidente citazione del Marsellus Wallace tarantiniano, un deus ex machina che devia la trama e spedisce tutta la storia su un altro binario. Una specie di accidente che capita all'improvviso e che proprio per questo, non beneficiando della minima costruzione in sceneggiatura, pare un alieno, al quale però lo spettatore è costretto a dar credito. Ci sono i due padroncini del catering che consegnano pesce fresco ai capricciosi ricconi delle baite di montagna, Carlo De Ruggeri e Massimo De Lorenzo, due figure a latere, usate per creare parentesi schiettamente comiche ed allentare un po' la tensione (.... la che?). Tutto talmente pretestuoso, un accrocchio sbrigativo, sommario e superficiale - accompagnato nientemeno che da musiche dei Ricchi e Poveri, della Rettore e Peppino Di Capri - decisamente più irritante che divertente. Un film che non lascia assolutamente niente al sopraggiungere dei titoli di coda, se non il desiderio di aver visto un po' di più e un po' meglio la Ferrari spogliata. Ma alla fine l'intento è pur sempre quello di portare le famiglie al cinema sotto le feste, fare i provocatori e i trasgressivi va bene, ma senza esagerare. Beh, a Capodanno fate di meglio.

Trailer ufficiale

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