American Gigolò

American Gigolò
American Gigolò

Non è invecchiato benissimo American Gigolò (di Paul Schrader), pellicola del 1980 che i suoi anni li dimostra tutti. Questo film non è mai stato solamente un film, ma una roba "larger than", che ha catalizzato l'attenzione per questioni di stile, fashionismo, valori yuppies, cultismo generazionale. Questi meriti li ha tutti, ha ritratto perfettamente gli anni '80, il loro look, il loro edonismo, ed ha lanciato Richard Gere come IL sex symbol (un anno dopo sarà in Ufficiale E Gentiluomo). Grazie alle mise di Julian Kaye/Gere l'America si innamorò di Armani eleggendolo a raffinato simbolo del vestire "all'italiana". Kaye nel film dice di essere nato a Torino, anche se poi fa l'accompagnatore a Los Angeles. Per il ruolo del gigolò la prima scelta fu quella di Christopher Reeve; comprensibile, chi meglio di un Superman. Reeve non accettò e si passò a John Travolta, che neppure firmò il contratto. Quindi il ruolo lo accettò Gere, a suo dire per la sottotraccia gay che il personaggio celava (...Travolta non se ne era accorto?). Non aveva mai esplorato il mondo gay come attore e quella gli sembrò l'occasione giusta. A dirla tutta, il dubbio ti sfiora mentre vedi Julian Kaye compiere le sue imprese. E' un copulatore incallito ok, ma sembra non fregargliene mai veramente granché. Il suo attuale boss è un gay pederasta (Bill Duke, e nel fatto che si tratti di un nero qualcuno ha voluto leggervi un certo razzismo) che spesso propone a Kaye lavoretti omosessuali, sempre rifiutati con molto sdegno, troppo... La camminata di Kaye, gli occhiali (femminili) da sole che indossa, la sua "delicata" maschitudine, qualche equivoco lo fanno sorgere...poi uno abbozza, perché Gere è un gigolò, le donne lo amano alla follia e magari ti stai sbagliando, però....

Schrader costruisce un giallo ma, consapevolmente o meno, fa anche molto altro, erige un monumento alla vanità, all'apparenza, all'erotismo patinato. Di sessualmente esplicito nel film non c'è alcunché; l'unica scena di sesso è una specie di puzzle castissimo tra Gere e la Hutton. Buffo per un film che tratta di prostituzione d'alto bordo. Più "coriacei" i dialoghi, nei quali si parla di voyeurismo, omosessualità, sesso violento e giochi perversi. Il ritmo è blandissimo, tante le scene in cui le gomme della scintillante Mercedes decappottabile di Kayne sembrano un po' "sgonfie"; tante anche quelle entrate nell'immaginario collettivo però, come Gere che sceglie accuratamente gli abbinamenti dei vestiti che indosserà, la ginnastica in casa, gli infiniti primi piani sulle sue moine e faccette varie, il tutto musicato deliziosamente da Giorgio Moroder, e ulteriormente elevato a potenza dalla beffarda ironia di "Call Me" dei Blondie. Da quando Kaye viene formalmente incriminato dell'omicidio di Lady Rheyman, Schrader cambia improvvisamente registrò, niente più indulgenze decorative sul bel fisico di Gere, niente più ammiccamenti civettuoli; il montaggio si fa serrato, pieno di dissolvenze, il tono diventa drammatico, fino alla risoluzione finale estremamente "cattolica". Già, lo notava il Mereghetti, quanto un film effimero come American Gigolò  sia percorso da un 'ottica fortemente religiosa (la forza dell'amore, il bisogno di espiazione, la gratuità della grazia). Gere acquisisce consapevolezza del suo status di "peccatore" strada facendo; dapprima è orgogliosamente in sella alla sua vita, rifiuta ogni critica moralistica e, da bravo epicureo, si gode quel che c'è da godersi. Progressivamente, con l'arrivo dell'amore vero, rimette in discussione i capisaldi della sua esistenza, fino ad essere pervaso e rigenerato dalla "gratuità della grazia" che Lauren Hutton gli offre in dono, sacrificatasi nel nome dell'amore puro. L'ultimo fotogramma del film (Gere che simbolicamente si lascia acarezzare dalla mano della Hutton) è la sottomissione al Cristo, o qualcosa di molto molto simile. Un parallelo ai limiti della blasfemia quello che ci esplode tra le mani. Schrader (anche sceneggiatore) si sarebbe ispirato a Dostoevskij e Bresson.

Per il ruolo della Hutton, in lizza prima di lei si susseguirono Julie Christie e Meryl Streep (quest'ulima rifiutò inorridita dal tono del film). Nel 2007 Schrader gira The Walker che lui ritiene una sorta di prosecuzione/evoluzione di American Gigolò, ovvero uno sguardo gettato su ciò che sarebbe potuto diventare il personaggio di Julian Kaye (notare che stavolta qui il protagonista, un altro accompagnatore, è apertamente gay). Molto forte la scena nella quale Gere, compreso chi è che lo sta incastrando, cerca di sottomettervisi arrendevolmente, dichiarandosi disposto a qualsiasi cosa pur di essere "salvato" dall'incubo che sta vivendo. Un momento di fortissima umanità del personaggio che si mostra debole, vigliacco, e per questo largamente comprensibile da parte del pubblico.

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